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Quegli ebrei protetti da una Resistenza diffusa

Fu merito dell’artista Luigi Varoli e di sua moglie Annetta, di Mario e Gigina Tampieri, semplici contadini, di Vittorio Zanzi macellaio e commissario prefettizio di Cotignola ma antifascista, e poi di una schiera di persone comuni – la maestra Giacomina, i Rivalta, i Fontana, i Maiocchi, Beppo e sua moglie Teresina – se Guido e Ada Ottolenghi, con i figli Luisella, Emilia ed Emma, riuscirono a salvarsi nell’Italia fascista. Ebrei torinesi, arrivarono a Ravenna nel 1940, ma da quell’anno fino alla Liberazione la loro vita divenne una storia di fughe rocambolesche da Cotignola a Roma, passando per Firenze – di paure, di risate e di solidarietà.

A loro furono risparmiati la deportazione e il campo di sterminio ma, dopo la fine del conflitto e la morte del marito nel 1958, Ada sentì la necessità di raccontare quella “vita- non vita” comune agli ebrei italiani, affidando la memoria ad un manoscritto. Un resoconto domestico, preciso e intimo, trasformato in un libro, “Ci salveremo insieme. Una famiglia ebrea nella tempesta della guerra”, che esce domani per il Mulino, con la prefazione di Liliana Picciotto, con le testimonianze dell’amica Rita Giacobbe (che aiutò gli Ottolenghi ad arrivare nella capitale) e del figlio Emilio. L’autrice, scomparsa nel 1979, scrive alla nipote Raffaella « sicura che tanti orrori non debbono essere stati invano e che la tua generazione debba conoscerli ancora direttamente da quelli che li hanno vissuti».

Con quello spirito Ada racconta le vicende della famiglia. Guido, il capostipite, si dimostrerà padre e marito premuroso ma anche uomo di azione, imprenditore e sostenitore della Resistenza. Ada è una donna coraggiosa che saprà affrontare senza cedimenti anche l’incursione dei soldati tedeschi, piombati in casa per cercare armi e che se ne andranno con un bottino di prosciutti.

Man mano che la Storia stringe i suoi lacci tremendi attorno la famiglia, il ritmo del racconto incalza e si seguono gli stravolgimenti imposti dal destino. Al loro arrivo a Porto Corsini gli Ottolenghi alloggiavano in una villa immersa nella pineta, con il cancello che portava direttamente alla spiaggia e con le stanze piene di gigli bianchi e profumatissimi: « Tutto era così in ordine, così lucido, così fuori del tempo » , ricorda Ada. Costretti a fuggire troveranno riparo prima in un capanno da pesca, dormendo su letti di paglia, poi a casa dell’artista Luigi Varoli, con Guido rinchiuso per sei mesi in una stanza angusta, quindi in campagna dalla famiglia Tampieri, in una abitazione dal cortile pieno di fango. Ma agli Ottolenghi mancarono soprattutto la libertà e il diritto alla propria identità.

Una privazione pesante compensata dalla solidarietà della gente: il romanzo in fondo ricorda i tanti italiani che, pur nella loro semplicità o nella penuria di mezzi, nascosero e diedero sostegno a ebrei, partigiani, perseguitati. Dividendo con loro le poche risorse, rischiando la vita. Fu la Resistenza di tutti, combattuta non con i fucili ma con stratagemmi e coraggio. Esemplare la fuga degli Ottolenghi verso Roma, con documenti falsi, su camion di militari tedeschi che, sottobanco ma ben remunerati, portavano su e giù per l’Italia merci e persone.

Nel 2002, ai Varoli e agli Zanzi fu riconosciuto in Israele il titolo di “Giusti fra le Nazioni”, destinato a quanti aiutarono gli ebrei europei durante le persecuzioni nazi- fasciste. Ad Ada Ottolenghi è intitolata la Biblioteca per ragazzi di Marina di Ravenna.

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