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Mafia, gli affari del boss amico di Riina jr nella Capitale, 11 arresti

Nel 2016, il boss palermitano Francesco Paolo Maniscalco aveva subìto un sequestro di beni da 15 milioni di euro fra la Sicilia e la Capitale. Ma i suoi affari non si sono fermati, grazie a una rete di complicità. Questa mattina, i carabinieri del Ros guidato dal generale Pasquale Angelosanto hanno fatto scattare un blitz con 11 arresti a Roma: sono prestanome e favoreggiatori del mafioso imprenditore che nel 2000 andava a pranzo con il figlio di Totò Riina, Giuseppe Salvatore, per discutere di affari. L’inchiesta coordinata dalla procura diretta da Michele Prestipino ha fatto scattare anche il sequestro per un bar a Trastevere. Vengono contestati i reati di trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio.

Palermo, le mani dei boss sulle scommesse: 8 arresti. “La mafia ha comprato tre concessioni dai Monopoli”

di SALVO PALAZZOLO


Maniscalco si trova attualmente in carcere, è stato arrestato nei mesi scorsi dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo nell’ambito di una indagine della Guardia di finanza sul business delle scommesse on line. Personaggio molto intraprendente, Maniscalco, legato alle famiglie di Corso dei Mille e Palermo centro. Con una tradizione mafiosa che gli è stata trasmessa dal padre e dallo zio. C’era anche lui fra i sette uomini d’oro che la notte del 13 agosto 1991 portarono a termine un colpo da 10 milioni di euro a Palermo, al Monte dei Pegni della Sicilcassa. Un colpo ordinato da Cosa nostra. L’oro dei poveri fu consegnato a Totò Riina, che ricompensò gli autori con 400 mila euro. Il resto andò alle casse dell’organizzazione. E mai nulla è stato trovato, tranne alcuni lingotti che Riina aveva affidato al gioielliere di Castelvetrano Francesco Geraci, amico del superlatitante Matteo Messina Denaro, poi diventato collaboratore di giustizia.

Questi e altri segreti conserva Maniscalco. Dopo aver scontato il suo debito con la giustizia, nel 2010, aveva lanciato nuovi investimenti nel settore della grande distribuzione. Evidentemente, aveva da parte un patrimonio mai sequestrato dalla magistratura. Così, aveva aperto locali e si era lanciato soprattutto nella distribuzione del caffè, attraverso una girandola di società. A Roma, dove ha vissuto per 20 anni, il boss palermitano aveva investito in un bar a Testaccio attraverso la ditta “Sicilia è duci”, Sicilia è dolce. Dopo il sequestro del 2016, aveva cambiato società e prestanome. Ma gli investigatori erano nuovamente sulle sue tracce.

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