PECHINO – Se anche si trattasse solo di scienza, la missione sarebbe già durissima. Mettersi sulle tracce di un virus, scoprire dove si è sviluppato e come è passato all’uomo è un lavoro di ricerca paziente che può richiedere anni, e in molti casi arrivare solo a risultati approssimativi. Ma l’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle origini di Sars-Cov-2, che la squadra di esperti arrivata ieri a Wuhan avvierà nei prossimi giorni, ha delle implicazioni che vanno oltre la scienza. Gli inizi del coronavirus, purtroppo, sono diventati un tema politico, con alcuni Paesi che vorrebbero trasformare l’indicazione geografica in una attribuzione di colpa alla Cina, e la Cina che cerca di scaricare le responsabilità accreditando tesi di nicchia, per non dire antiscientifiche, come quella secondo cui il virus si sarebbe sviluppato all’estero. Tutto questo ha reso la preparazione del viaggio dell’Oms molto macchinosa e rende la missione degli esperti ancora più difficile. Ecco chi sono, che cosa cercheranno e che cosa ragionevolmente potranno sperare di trovare.
Gli esperti che compongono il team di ricerca sono arrivati ieri mattina a Wuhan, un anno dopo l’emersione del primo focolaio, con un volo low cost che partiva da Singapore. La squadra è composta da dieci esperti, virologi, epidemiologi e biologi. I membri del team in tutto dovevano essere 15, ma due di loro, pur se negativi al tampone, sono risultati postivi a un test sugli anticorpi, quindi al momento sono bloccati a Singapore in attesa di ulteriori esami. Il gruppo è guidato da Peter Ben Embarek, un esperto dell’Oms sulla sicurezza alimentare e malattie animali che era stato già in Cina a luglio per i lavori preparatori. Non ci sono né americani (per ragioni politiche) né italiani.
Per prima cosa, come tutte le persone che entrano in Cina dall’estero, faranno due settimane di quarantena. All’arrivo all’aeroporto di Wuhan sono stati fatti passare attraverso un cordone sanitario e portati in hotel. Ma durante i 14 giorni di isolamento dovrebbero comunque iniziare a lavorare. L’obiettivo, nelle parole di Embarek, è “risalire all’indietro nell’ambente di Wuhan, intervistare in profondità i primi casi, provare a trovarne altri che non sono stati individuati all’epoca e capire se possiamo spingere indietro la storia”. Proveranno insomma a partire dai primi positivi noti, che per le autorità cinesi risalgono a dicembre, e a ricostruire a ritroso il percorso del virus. Visiteranno gli ospedali e il famoso mercato del pesce di Huanan. Si tratta di una ricerca molto difficile dal punto di vista scientifico: per altri patogeni, Sars compresa, sono serviti anni prima di trovare l’origine e l’ospite intermedio.
È una delle incognite chiave dell’indagine, che non ha un programma dettagliato. Nei negoziati preliminari tra l’Oms e la Cina le due parti si sono accordate sul fatto che la prima indagine sul campo venisse condotta da esperti cinesi, cosa che è avvenuta a dicembre. I risultati sono stati condivisi con gli scienziati dell’Oms, ma non resi pubblici, ora si tratta di capire che possibilità avranno gli esperti internazionali di verificare le informazioni, avendo accesso diretto alle fonti primarie. Per un’indagine del genere, per esempio, una delle strategie principali è cercare tracce del patogeno in campioni biologici di pazienti conservati nei laboratori. È così che dei ricercatori in altri Paesi, anche in Italia, stanno retrodatando i primi casi. La Cina finora non lo ha fatto, perché la data iniziale del contagio per lei è una questione chiave.
Nella ricostruzione ufficiale che la Cina fa dell’epidemia, fissata dopo poche settimane e mai rivista, i primi casi risalgono a inizio dicembre, non prima. Ogni studio straniero che rivela una presenza del virus precedente a quella data viene usato per accreditare una tesi senza prove, cioè che il patogeno abbia avuto origine in più parti del mondo contemporaneamente (Italia compresa), o addirittura che potrebbe essere stato importato in Cina dall’estero. Per rafforzare questa narrativa Pechino controlla in maniera stringente le informazioni: ogni studio, prima di essere pubblicato, deve ricevere l’autorizzazione del governo. “Cerchiamo risposte che ci salvino in futuro, non persone da incolpare”, ha detto Mike Ryan, principale esperto di emergenze dell’Oms. Ma è difficile che questo basti a rassicurare la Cina: la pubblicazione di ogni evidenza che mettesse in discussione la sua narrativa sarebbe sgradita. E metterebbe a rischio quel minimo di collaborazione esistente tra l’Organizzazione e Pechino. Esisterà un rapporto pubblico finale? Nessuno ne ha parlato.
Con queste premesse, scientifiche e politiche, non molto. Nella migliore delle ipotesi la missione a Wuhan, che durerà due settimane dopo la quarantena, sarà il primo passo di una lunga strada, per stessa ammissione degli scienziati che ne fanno parte. Fabian Leendertz, un microbiologo nel team di esperti, già in prima linea nelle ricerche sulle origini di Ebola, ha spiegato al Wall Street Journal che sarebbe già molto capire lo stato di avanzamento delle ricerche fatte finora dagli scienziati cinesi, individuare dove sono i vuoti e provare a colmarli. “Nessuno dovrebbe aspettarsi che la squadra torni indietro con risposte definitive. Tornerà indietro con un buon piano e il piano poi andrà seguito”.
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