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Covid, così Israele ha vaccinato il 20% della popolazione in tre settimane

IL 20% della popolazione è stato già vaccinato, in meno di tre settimane. Entro marzo si potrebbe arrivare addirittura a una copertura quasi totale. Israele corre più di tutti nella gara contro il Covid: merito di accordi conclusi in rapidità con Pfizer-BioNTech, AstraZeneca e Moderna, di un’ottima strategia di pianificazione e ottimizzazione delle risorse (i lotti di vaccino, per esempio, vengono “spacchettati” e suddivisi in confezioni più piccole per assicurare la distribuzione anche nelle zone periferiche senza sprechi), di un’informazione attenta e capillare della popolazione. A raccontare in dettaglio tutti gli aspetti della strategia vaccinale israeliana, in una conferenza stampa dedicata, è stato Asher Yeshahiu Salmon, capo del dipartimento delle relazioni internazionali al Ministero della salute d’Israele e membro della World Health Organization.

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Mettere a punto un piano vaccinale sicuro ed efficiente, in così poco tempo, è certamente una sfida non indifferente. Che coinvolge diversi ambiti della sfera pubblica: oltre a quelle sanitarie, naturalmente, ci sono da considerare tutte le sfide legate all’approvvigionamento, alla distribuzione, al reclutamento e alla formazione del personale, alla comunicazione alla popolazione. Un meccanismo articolato che deve funzionare alla perfezione per evitare ritardi, intoppi e colli di bottiglia. Scendendo più nel concreto, le difficoltà principali che Israele ha dovuto affrontare, racconta Salmon, sono le stesse che interessano anche l’Italia e il resto dei paesi impegnati nella somministrazione dei vaccini: la necessità di mantenere i preparati (specialmente quello di Pfizer-BioNTech) a temperature ultra-fredde e la bassa “vita” dei prodotti a temperature più alte; le informazioni ancora limitate, per forza di cose, sulla stabilità e sulla portabilità dei farmaci; la conoscenza solo parziale della domanda e delle effettive quantità che sarebbero state consegnate; le restrizioni degli enti regolatori.

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Velocità ed efficienza

La strategia dello stato di Israele ha previsto una combinazione di velocità ed efficienza: “Gran parte del successo della nostra campagna vaccinale”, dice Salmon, “sta nel fatto che ci siamo mossi molto presto. Già ad aprile abbiamo avviato i negoziati con AstraZeneca, e subito dopo con Moderna. Curiosamente, abbiamo interagito con Pfizer-BioNTech molto più tardi, a novembre scorso, ma siamo riusciti a chiudere l’accordo molto in fretta. Abbiamo mostrato all’azienda il nostro piano per la distribuzione e li abbiamo convinti della nostra buona preparazione. Per questo ci hanno inviato subito molte scorte di vaccini”. Si stima che finora Israele abbia ricevuto circa 5 milioni di dosi, sufficienti a vaccinare 2 milioni e mezzo di persone. C’è chi insinua che dietro un accordo così veloce ci sia il fatto che Israele abbia pagato i vaccini più di altre nazioni, o che abbia accettato di condividere più dati con le aziende farmaceutiche che glieli hanno forniti: su questo, naturalmente, Salmon non si sbilancia. “Il prezzo della negoziazione non può essere reso pubblico”, spiega. “Ma crediamo di aver pagato il miglior prezzo che potevamo. E soprattutto siamo convinti che il prezzo dei vaccini sia di gran lunga inferiore a quello della pandemia. Con Pfizer condividiamo dati aggregati, anonimizzati e generali, relativi per il momento soprattutto agli eventuali eventi avversi; più in là forniremo anche dati sull’efficacia, il che costituirà di fatto un trial post-marketing del vaccino, il cosiddetto studio di fase IV”.

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La tecnica a fetta di pizza

Per quanto riguarda gli aspetti prettamente logistici, Israele si è avvalso di un sistema di centralizzazione e decentralizzazione delle scorte che finora ha funzionato alla perfezione. “Chiamiamo la nostra tecnica pizza slice”, dice Salmon, “una metafora gastronomica che aiuta a comprendere come avviene la distribuzione”. I grandi lotti di vaccino – tanti cartoni di pizze – partono dalla casa madre e arrivano in aereo, refrigerati a -80°C, a un grande centro di smistamento (la cosiddetta catena di rifornimento); da qui vengono “suddivisi” in cartoni unici e, se necessario, in singole “fette di pizza” e inviati, assieme a dispositivi medici come aghi, siringhe e tutto quello che è necessario per la somministrazione, ai canali di distribuzione via terra, che li trasportano, mantenendoli a una temperatura compresa tra 2 e 8 gradi (alla quale resistono circa 120 ore), alle residenze per anziani, agli ospedali e ai centri pubblici per la vaccinazione, allestiti in hotel, palestre e stadi. “Abbiamo cicli di distribuzione serratissimi”, dice ancora Salmon. “Ogni settimana pianifichiamo tutta quella successiva, e ogni settimana partono circa tre spedizioni dal centro alla periferia”.

Un call center per i dubbi

Non finisce qui. Israele ha fatto molta attenzione al training del personale, svolto soprattutto da remoto, e alla comunicazione con il pubblico, un aspetto molto delicato e che riguarda anche noi: “Abbiamo cercato di puntare tutto sulla trasparenza e sulla fiducia. Abbiamo istituito un call center che risponde alle domande più comuni dei cittadini, specialmente rispetto agli eventi avversi; abbiamo avviato campagne di comunicazione sui giornali, su internet, in televisione. Per alcune fasce della popolazione – per esempio gli ebrei ultraortodossi, che vivono praticamente ‘scollegati’ dal mondo esterno – è stato più difficile, ma con pazienza e perseveranza abbiamo raggiunto anche loro, e contiamo di raggiungerne ancora di più nel prossimo futuro”. C’è poi l’aiuto della tecnologia: Israele può contare su un sistema elettronico uniforme su tutto il territorio che traccia, raccoglie e cataloga tutti gli eventi avversi, e i cittadini vengono informati tramite app o messaggi sul cellulare di quando sarà il loro turno per la vaccinazione. Si può già pensare, allora, a un’exit strategy? Secondo Salmon è ancora troppo presto: “Al momento”, conclude, “non possiamo ancora permetterci di allentare tutte le restrizioni che abbiamo imposto. Cominceremo a farlo, molto gradualmente, quando la maggior parte della popolazione sarà immunizzata. Però dobbiamo abituarci all’idea che per tornare a una vita del tutto normale – con concerti, palestre, discoteche – serviranno ancora molti mesi”.

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