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Roberto Giannelli e il Brunello San Filippo, un successo per imprevisto

Non poteva immaginare che un imprevisto avrebbe portato i suoi passi su questa terra argillosa, tra i filari di Sangiovese che da sudest di Montalcino si affacciano sulla Val d’Orcia. E dopo tanti anni per Roberto Giannelli la consacrazione di Wine Spectator è solo la più recente conferma di quello che molti connoisseur sanno da tempo: i vini di San Filippo stanno esprimendo un crescendo di qualità senza compromessi. Tra questi, è il Brunello Le Lucére 2015 a distinguersi come terzo miglior vino al mondo nell’ambitissima classifica di Wine Spectator, distillata esaminando con assaggi ciechi oltre undicimila vini nel mondo. La top ten, dove c’è solo un altro italiano, il Barolo Massolino 2016, sceglie “the most exciting wines” scoperti con quegli assaggi.

Uno degli ingressi della tenuta San Filippo, a sudest di Montalcino, da cui si intravvede l'edificio principale con la piccola chiesa settecentesca (ph. San Filippo)

Un'eredità scomoda
San Filippo ha una bella storia, ennesima prova che l’eccellenza è quasi sempre il traguardo della passione. In questo caso quella di Roberto Giannelli, fiorentino del 1964 che, occupandosi di trading immobiliare, nel 2002 si è trovato per le mani questa tenuta di 22 ettari che due fratelli avevano ereditato e deciso di vendere, e se ne è innamorato. Fino a decidere di lasciare tutto e cambiare vita, “tra i dubbi di molti, anche parenti, che mi dicevano ‘ma chi te lo fa fare’, ma con il sostegno di mia moglie Mariacristina, che mi ha sempre detto: segui il tuo cuore. È stato davvero un imprevisto. Avevo 37 anni e fino ad allora il vino era soprattutto una curiosità. Dalla fine delle superiori, con un gruppo di amici andavo in giro per assaggi nelle cantine più considerate”. Anche qui a Montalcino? “Anche, per quanto i Brunelli non li amassi particolarmente: mi sembravano troppo impegnativi, ‘duri’”.

"Dopo una permanenza in barrique", spiega Roberto Giannelli, "il Brunello San Filippo matura in botti di grandi dimensioni come queste, in cui riposa l'annata 2017" (ph. Fausto Fabbri)

Le persone che lo hanno aiutato
Un dubbio in più quindi, certo non il più importante fra i tanti che lo assillavano quando, dopo il primo sopralluogo per valutare la proprietà, aveva cominciato a pensare che avrebbe potuto prenderla lui. "Il momento non era felice, ma ne parlai con Alberto Chieffi, mio notaio e 'padre adottivo'. E lui mi aiutò a fare diventare realtà quello che razionalmente sembrava un sogno fuori portata sotto ogni punto di vista, economico, imprenditoriale, vinicolo”. Poi, dal momento che questa storia di vino è soprattutto una storia di persone, fatta la “pazzia” dell’acquisto, decisivo è stato un altro aiuto. “Avevo tante energie e tanta voglia di fare, ma non avevo ancora davvero capito la complessità dell’impegno e francamente la scelta di lasciarmi tutta una vita alle spalle cominciava a sembravi un colpo di follia. Per fortuna telefonai a Roberto Anselmi (uno dei più considerati viticoltori veneti), che mi mandò in aiuto il suo agronomo, Patrizio Gasparinetti, ancor oggi nostro consulente. Lui vide il posto, esaminò viti e terreni, e alla fine decretò: c’è molto da fare ma possiamo arrivare a grandi risultati. Dopo una decina di giorni mi scrisse un memorandum delle cose da fare, che ancor oggi conservo e rileggo con religiosa attenzione, e che ho distribuito a tutti qui in azienda. L’idea guida è accompagnare l’espressione dei vigneti assecondando le potenzialità della natura e utilizzando al meglio soprattutto le pratiche agronomiche e riducendo al minimo gli altri interventi in regime di agricoltura biologica. Abbiamo cominciato rivoluzionando la campagna, con grande attenzione ai tempi della vigna. Abbiamo abbandonato quasi subito i fitosanitari sistemici e nel giro di tre anni abbiamo fatto nostri i metodi biologici, anche se non ci teniamo particolarmente a dirlo, perché credo sia una sana qualità da sentire quando si beve più che da comunicare per ragioni di marketing, e abbiamo imparato a giocare d’anticipo con il meteo. Tutti miglioramenti che hanno richiesto tempi lunghi e quindi molta pazienza”.

Alla ricerca del Brunello "perfetto"

I primi tempi sono stati segnati da notti insonni a pensare agli edifici da ristrutturare, tra cui una piccola chiesa settecentesca, o da costruire, le viti da rinnovare, i macchinari da comprare, la cantina da riorganizzare. Per fortuna da quella apparente follia ha potuto e saputo trarsi fuori grazie alle idee chiare. Oltre alle “tavole della legge” di Gasparinetti, Roberto Giannelli aveva una precisa visione del “suo” vino: “Con una bella spina dorsale, un carattere deciso ma da scoprire dietro un palato e raffinato. Insomma, non volevo un vino troppo ricco e aggressivo, preferivo privilegiarne la rotondità”. A Montalcino ci sono oltre 250 produttori. E nessun Brunello è uguale. In effetti all’assaggio quelli di San Filippo, di cui Le Lucére è il gioiello più prezioso, s’insinuano nel palato con una gamma di sapori che va stanata, o quanto meno attesa, perché si svela nella lunghezza dell’assaggio. Ancora una volta, una persona è stata lo strumento per raggiungere questo obiettivo. “Pensando al vino che avevo in mente, mi misi ad assaggiare sistematicamente i Brunelli cercando nello stesso tempo di leggere meglio il territorio nelle sue diversità, fino a che ne individuai alcuni che si avvicinavano di più al risultato che avevo in mente. Scoprii che dietro tutti c’era lo stesso enologo, Paolo Caciorgna. Lo chiamai, e non ci siamo più lasciati: ancor oggi nei nostri vini c’è anche la sua mano”. Le uve fanno la fermentazione alcolica in acciaio e quella malolattica in cemento. Poi il vino passa in barriques o piccole botti di 500-600 litri al massimo. Infine matura in botti più grandi, e si raffina per un anno o più in bottiglia. “Le barriques sono a tostatura leggera perché non voglio che il legno si sovrapponga al frutto, e credo che il raffinamento in bottiglia sia molto importante, infatti stiamo allungandone il tempo".

La fedeltà di chi lo assaggia
Questa ricerca costante del miglior risultato esigendo il massimo in vigna e in cantina, senza trascurare nessun dettaglio, non poteva che portare a grandi risultati. Prima ancora dei riconoscimenti, la fedeltà dei clienti: “Chi ci sceglie, quasi sempre continua a farlo negli anni”. E la lucida follia del 2003 oggi è diventata non solo un successo di prestigio internazionale e la soddisfazione di sapere che il vino è già tutto venduto prima di lasciare la cantina, ma soprattutto la gioia di aver realizzato il sogno di vivere della propria passione, e di rinnovarlo tutti i giorni camminando su queste terre, tra i suoi filari.
La proprietà
La vigna Le Lucére
La valutazione d'assaggio e il voto di Wine Spectator

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