Non tutti lo potranno ricordare ma nel 2007 Faye Dunaway, che oggi compie ottant’anni, interpretò la governatrice della California in una miniserie cupamente profetica dal titolo Pandemic, dove un misterioso virus, sottovalutato da autorità e media, faceva strage degli abitanti di Los Angeles. A quel tempo l’attrice lavorava soprattutto in tv; ma negli anni 60-70 era stata una delle star più in vista di Hollywood, una regina dello schermo osannata per bellezza, carisma, temperamento e contesa dalle produzioni più ambiziose. Era comparsa in film indimenticabili, aggiudicandosi, nel giro di pochi anni, un Oscar come protagonista, diverse nomination e molti altri premi assortiti.
Nata in Florida ma trasferitasi da uno Stato all’altro con la famiglia (suo padre era militare), a New York la giovane Dorothy Faye fu allieva del grande Elia Kazan, co-fondatore dell’Actor’s Studio, e debuttò al Lincoln Center Repertory Theater interpretando la figlia di Tommaso Moro in Un uomo per tutte le stagioni (a teatro avrebbe poi recitato spesso, con testi di Molière, Arthur Miller, Tennessee Williams, George Bernard Shaw, Harold Pinter). Il cinema la scoprì nel 1967 con Cominciò per gioco…, un “veicolo” per Anthony Quinn; ma nello stesso anno le offriva già la sua prima grande occasione: la parte di Bonnie Parker, la romantica donna-gangster compagna di Clyde Barrow, in Gangster Story di Arthur Penn e Warren Beatty, per la quale fu candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista. Dopo una seconda nomination per il fortunatissimo Chinatown (1974) di Polanski, dove era la figlia di John Huston, avrebbe poi conquistato la statuetta nel ’77 grazie a Quinto potere di Sidney Lumet. In quegli anni la sua bellezza raffinata e altera la destinò a parti di amante, che fa perdere la testa a star mature (William Holden in Quinto potere, Kirk Douglas nel Compromesso di Kazan, 1969) inducendole a lasciare la moglie. Al caso, oltreché tentatrice, era anche cinica e spietata, come la responsabile dei programmi tv nel film di Lumet. Faye non fu solo nei cast di grandi drammi contemporanei (oltre a quelli già citati, l’indimenticabile I tre giorni del Condor di Sidney Pollack), ma anche di film di genere, spesso baciati dal successo: western (Il piccolo grande uomo, Doc, I duri di Oklahoma), actioner (Il caso Thomas Crown, sopravvalutato ma in cui formò una coppia molto glamour con Steve McQueen), disaster-movie (L'inferno di cristallo, produzione all-star del 1974). E vale la pena di ricordare la coppia di film dedicati da Richard Lester al più celebre racconto di cappa-e-spada, I tre moschettieri e Milady, dove fu la più perfida e affascinante delle Lady DeWinter.
Già nel 1968 Dunaway si era presa un anno sabbatico da Hollywood per venirsene in Italia e interpretare il film di Vittorio De Sica Amanti a fianco di Marcello Mastroianni; col quale ebbe una relazione durata tre anni che nutrì abbondantemente le cronache rosa dell’epoca (altra celebre love-story fu quella con lo stand-up comedian Lenny Bruce). Nella sua eclettica carriera successiva avrebbe poi lavorato per altri registi italiani: da Lina Wertmuller (In una notte di chiaro di luna), Franco Zeffirelli, Carlo Vanzina. Ma – come tutto passa – finì anche il tempo in cui metà del pubblico mondiale aveva una cotta per lei; e Faye si dovette cercare ruoli diversi, spesso di donna vissuta e sofferente. Nel 1981, a soli quarant’anni, fu la terribile Joan Crawford nel biografico Mammina cara di Frank Perry (che però le fece incassare un poco invidiabile Razzie Awards come peggior attrice dell’anno). Poi interpretò un paio di personaggi di alcolizzata in Barfly-Moscone da bar di Barbet Schroeder e L’ultimo appello di James Foley. In anni più recenti, conservando tracce della bellezza giovanile ma con i tratti un po’ alterati (dalla chirurgia estetica?) si dedicò all’attività del palcoscenico e a quella televisiva. Per gli appassionati del piccolo schermo sarà d’obbligo ricordare (oltre alla miniserie Evita Peron, nel ruolo del titolo) le sue partecipazioni a episodi di serie popolari quali Il tenente Colombo (1993), CSI scena del crimine (2006) e la quinta stagione di Grey’s Anatomy, in camice e mascherina da chirurgo. Meno rilevanti le ultime apparizioni sul grande schermo (eccetto, forse, The Yards di James Gray, del 2000). La più recente risale a tre anni fa, in Inconceivable di Jonathan Baker.
Oscar 2017: i 140 secondi di illusione di "La la Land"
Nello stesso anno Faye è stata coprotagonista – assieme al suo partner in Gangster Story – di una delle gaffe più clamorose di tutta la storia degli Oscar. Proclamando quale miglior film La La Land (in realtà la statuetta andava a Emma Stone) al posto del legittimo vincitore Moonlight.
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