«Viva Garibaldi» , «Abbasso Garibaldi», e tra queste urla di gioia e di disprezzo che si susseguirono velocemente una dopo l’altra ci fu un pezzo di storia di Italia che vide in mezzo la Sicilia illusa di potere cambiare le sue sorti. Quel passaggio dai Borboni ai Savoia, quell’illusione di cambiamento che nessuno è riuscito a tratteggiare meglio di Giuseppe Tomasi di Lampedusa condannandoci tutti e per sempre in quella frase che è rimasta un’eterna sentenza: « Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». E così sia.
L’ultimo romanzo di Giankarim De Caro (palermitano, classe 1971) " Chianchieri", edito da Navarra, si nutre di gattopardismo, della disillusione che ha indurito lo spirito rivoluzionario siciliano, ma lo fa da una prospettiva del tutto diversa, indagando i vicoli della Palermo povera, le "balate" bagnate dal sacrificio e dal sudore, sposando la prospettiva dei "chianchieri", i macellai che poggiavano la carne nella "chianca", e giocando metaforicamente sulla violenza dei mattatoi dove le bestie vengono mandate a morire, esattamente come successe a una generazione di giovani siciliani, traditi da una rivoluzione che presto prese le sembianze della solita prepotenza del potere.
Protagonisti della storia sono Cola e Totò, due gemelli, nati in una famiglia di macellai da generazioni, ma destinati a vivere i momenti cruciali della storia dell’Isola tra la metà e la fine dell’Ottocento, e spinti a inseguire un’ideale di giustizia e libertà che sembrerà sfuggire dalle loro mani, portando uno fino al Nuovo mondo e l’altro a ricominciare dalle stanze di quella nobiltà tanto osteggiata fino a quando non sarà proprio donna, Olivia, a fare da ago della bilancia.
Seppur non originalissimo nella trama, nella quale fanno capolino un principe superstizioso, una vecchia strega, e più di un campiere furbo, il romanzo ha il pregio di essere percorso da una passione politica ben contestualizza nel periodo storico.
Cola e Totò, uguali fisicamente ma diversi per indole e carattere, crescono uniti e determinati a riscattare la malasorte del padre, finito in prigione per un delitto d’onore travestito da omicidio politico; sposano la causa garibaldina e strenuamente lottano per una dignità che possa dare sostanza alla loro prestanza fisica, contrapposta alla gracile natura del figlio del principe Spada, il malmesso Fabrizio Maria, rappresentazione perfetta di una nobiltà che sta per spegnersi.
Nella vita dei due fratelli, come già accaduto al loro padre e al suo compare, è l’arrivo di una donna a portare scompiglio, ma tra nuovi ribaltamenti del percorso storico e colpi di scena, sarà questa stessa a ridare un nuovo equilibrio alla loro vita.
Amore e odio, ritrosia e baldanza, nella fratellanza ribollono le passioni che squarciano l’individuo per poi perdonarsi e trovare nuova unione. Una storia di dolore, di speranze tradite, una storia dove i patti non vengono mai rispettati, neanche quando di mezzo c’è la magia nera, e le condanne per i traditori però non tardano ad arrivare, seppur tardive e dopo aver mietuto vittime innocenti.
È molto interessante la scrittura di De Caro, una lingua antica e precisa che consente al lettore di immergersi completamente nella storia, riscoprendo suoni metallici di coltelli e spade, schioppettii di armi, odore di sangue e cuoio e mettendo a fuoco immagini che non temono di raccontare l’orrore per poi acuminarsi in sentenze lapidarie: « Solo il peso del passato sentiva su se stesso in quella maledetta terra, nessun presente, nessun futuro».
L’antica periferia di Palermo, tra il ponte dell’Ammiraglio e il fiume Oreto, resta uno sfondo placido nel quale infuria l’umana barbarie e, alla fine, compiuto il viaggio nel tempo, i sentimenti evocati dal racconto sembrano volere schiaffeggiare il presente, perché il desiderio di riscatto torni ad ardere e la fuga non resti l’unica soluzione.
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k Il dipinto "La bottega del macellaio" di Carracci I "chianchieri" sono i macellai
De Caro per Navarra
"Chianchieri" di GianKarim De Caro Navarra editore 156 pagine 15 euro
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