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Stiamo ricostruendo il futuro

Taxi da casa a Roma Termini. Frecciarossa e tre ore fino a Milano. Altro taxi. Riunione e via di corsa: taxi, treno, taxi. Sbattimento super. Con connesso inquinamento ambientale oltre che psichico. Altro scenario, stesso meeting: vestito a metà, tazza del caffè ancora calda sul tavolo, mezz'ora di conferenza via Zoom, grazie a tutti e buon lavoro.

A pandemia conclusa è difficile che si torni a vivere esattamente come a gennaio scorso. Alcuni processi che erano in atto sono stati accelerati dal Covid probabilmente per sempre, cambiando modi di studiare, di lavorare, di abitare. E di costruire. Ne è convinta l'architetta e storica della disciplina al Politecnico di Milano Alessandra Coppa, che ha appena pubblicato Architetture dal futuro. Visioni contemporanee sull'abitare (24 Ore Cultura, pp. 160, euro 32) in cui ha chiesto ai grandi studi internazionali di prefigurare degli scenari post-Covid. A Coppa rispondono Stefano Boeri Architetti, UNStudio, Fuksas, Zaha Hadid Architects, Foster + Partners, Mario Cucinella Architects, Carlo Ratti Associati, Studio Libeskind, Renzo Piano Building Workshop, Mvrdv, Studio Italo Rota, Studio Odile Decq presentando progetti già realizzati o che sono in corso di costruzione ma con delle introduzioni che tracciano scenari che tratteggiano la metropoli di domani. Dove tecnologia, avanzatissima, intelligenza artificiale e compatibilità ambientale trovano una nuova sintesi.

Tecla di Mario Cucinella Architects a Massa Lombarda (Ravenna), 2019 (© Mario Cucinella Architects)

Coppa, quando si inaugura un edificio il progetto è vecchio di almeno tre anni o, come capita spesso in Italia, di un decennio. Che vuol dire quindi parlare di architettura del futuro?
"Da quando si progetta a quando si finisce di costruire possono passare anche trent'anni. Ma progettare significa 'gettare avanti' quindi l'idea di futuro è connaturata con la disciplina. Nel 2009 Marc Augé in Che fine ha fatto il futuro? constatava che l'architettura degli ultimi decenni è come se si fosse cristallizzata in un eterno presente, senza più slanci in avanti. Credo invece che il Covid abbia reinnescato un processo che ci farà superare l'omologazione del presente".

Lei scrive che qualche segnale in questa direzione era arrivato già prima dei lockdown…
"Già la Biennale di Venezia del 2016 diretta da Alejandro Aravena aveva prestato attenzione a progetti abitativi innovativi che non erano solo quelli iconici delle archistar. Poi c'è stata la mostra Broken Nature di Paola Antonelli alla Triennale di Milano del 2019 e l'esposizione Countryside curata da Rem Koolhaas al Guggenheim di New York ma chiusa per Covid. Lì si immagina un futuro post metropolitano, con la popolazione che si sposta in aree rurali lontane dalle città".

Siamo davvero, come dice Boeri nel suo libro, al capolinea della città moderna nata con la rivoluzione industriale?

"Fare progettazione implica sempre consumo di energia. Oggi possiamo però fare in modo che gli equilibri tra naturale e artificiale trovino un compromesso nuovo. La città-foresta progettata da Boeri a Liuzhou in Cina o gli orti urbani prefigurati da Ratti sono slanci utopici difficilmente ampliabili su larga scala. Però la città monocentrica in cui tutti, agli stessi orari, sono costretti a recarsi negli stessi luoghi è superata. L'idea del distanziamento, applicato su scala urbana, significa rendere autonomi i diversi quartieri, dal punto di vista delle necessità e delle funzioni. L'ideale sarebbe potersi spostare, a piedi o in bicicletta, in un quarto d'ora per poter fare tutto ciò di cui si ha bisogno".

Liuzhou Forest City di Stefano Boeri Architetti a Liuzhou (Cina), in corso di realizzazione (Stefano-Boeri-Architetti Negativ)

Quindi non finiremo tutti a vivere in fattoria?
"Ma no. Anche perché innanzitutto bisognerebbe connettere i borghi in maniera adeguata: chi in questo periodo ha passato qualche mese in campagna ha constatato quanto è difficile studiare e lavorare con internet che va e viene. E poi la città ha un'attrazione senza pari: siamo animali sociali che vivono di relazioni. È dal Rinascimento che la città italiana ed europea è il centro della civiltà. Hashim Sarkis, direttore della Biennale architettura 2021, parla di resilienza urbana: le città hanno superato pandemie, conflitti sociali, guerre, crisi economiche. Sanno resistere, adattarsi, rigenerarsi".

Si può emendare il tessuto urbano?
"Un esempio è quello della terrazza-giardino, già prefigurata nel 1947 da Le Corbusier. Gli edifici hanno una quinta parete, la terrazza appunto, completamente abbandonata e che invece grazie alla coltivazione idroponica può diventare uno spazio condiviso dagli abitanti di un condominio: è orto, è palestra, è area gioco per bambini o spazio dove far arrivare i pacchi dello shopping on line".

Così però i quartieri si svuoteranno ancor di più.
"Non è detto. Se in questo periodo c'è stata l'esplosione degli acquisti online, abbiamo anche riscoperto l'importanza dei negozi di quartiere che, appunto, raggiungi a piedi in pochi minuti. La grande densità, che per secoli è stata uno dei cardini dello sviluppo urbano, è stata rimessa in discussione".

Il distanziamento diventerà un tema progettuale?
"Sì, mentre il tema il co-housing che tanto aveva attraversato il dibattito architettonico degli ultimi anni, mi sembra archiviato".

Bussiamo ora alla porta di casa. Come sono cambiati e cambieranno gli appartamenti dell'era Covid?
"Saranno sempre più flessibili, perché è chi li abita, non l'architetto, che deciderà come trovare il suo comfort. Se prima la casa era un posto dove mangiare e dormire, perché tutto il resto si faceva fuori, ora bisogna reinventare gli ambienti in maniera meno nomade e più stanziale. La casa è diventata ufficio, scuola, biblioteca, palestra e bisogna trovare dei sistemi mobili che si chiudono e riaprono per dare a ogni membro della famiglia uno spazio anche acusticamente isolato. È dura fare riunioni di lavoro con i bambini che urlano nello stesso living".

Anche l'arredamento subirà delle modifiche?
"Certamente. Se sto un'intera giornata in casa ho necessità di essere circondata da oggetti più belli e meno provvisori. Se prima passavamo ore a scegliere uno smartphone mentre compravamo gli arredi camminando distrattamente nei corridoi dell'Ikea, oggi prima di acquistare una lampada o una sedia ci pensiamo bene. Anche perché c'è bisogno di una qualità maggiore che regga agli urti di una vita quotidiana più intensa".

Quando saremo tutti immuni torneremo a vivere come prima?
"Come si è visto la scorsa estate, la gente ha una voglia matta di tornare a vivere in comunità. Credo però che la pandemia abbia impresso un'accelerazione a dei processi già in atto, come quello dell'agricoltura urbana e del lavoro e dello studio a distanza. Questi processi, una volta innescati sono difficilmente reversibili. Certo mi chiedo che fine faranno i grattacieli come quelli di City Life destinati al terziario".

Saranno riconvertiti in appartamenti di lusso.
"È probabile. Avremo tutti boschi verticali ma senza boschi. E con un vento, se abiti in alto, che ti si porta via".

Sul Venerdì dell'8 gennaio 2021

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