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Stati Uniti, il capo della polizia e l’assalto al Congresso: “Ho chiesto aiuto alla Guardia nazionale, non mi è stato dato”

Washington – “Avevo chiesto i rinforzi della Guardia Nazionale per proteggere il Congresso, non me li hanno dati”. E’ il J’Accuse che il capo della polizia del Campidoglio, dimissionario, lancia in un’intervista al Washington Post. È la prima volta che parla Steven Sund, dopo l’assalto del 6 gennaio in cui i suoi uomini furono travolti, e uno di loro ucciso. Sund ricostruisce nell’intervista la drammatica escalation di violenza sfociata nell’occupazione della sede parlamentare. Ammette che le forze dell’ordine erano inadeguate: 1.500 agenti della sua Capitol Police contro 8.000 manifestanti decisi a invadere il Congresso. Il perimetro di sicurezza sul lato occidentale della collina del Campidoglio è stato frantumato in 15 minuti.

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Sund ha accettato di dimettersi “per aver tradito i miei uomini” però punta il dito contro le responsabilità di altri. Due giorni prima del raduno pro-Trump convocato a Washington dallo stesso presidente, lui aveva raccolto numerosi segnali di allarme. L’Fbi e diverse polizie tra cui il New York Police Department avevano segnalato i preparativi delle milizie di estrema destra, i loro piani circolavano sui social media. Il capo della Capitol Police aveva chiesto il permesso di allertare la Guardia Nazionale perché fosse in grado d’intervenire rapidamente.

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Qui la ricostruzione di Sund si addentra nei meandri delle tante – troppe – sigle e organizzazioni coinvolte. Oltre a lui, la difesa del Congresso dipende dai due Sergeant-at-Arms responsabili rispettivamente per il Senato e per la Camera. Poi c'è la polizia municipale, agli ordini della sindaca. La Guardia Nazionale, che nei 50 Stati Usa può essere mobilitata su ordine dei rispettivi governatori, nel District of Columbia della capitale federale invece dipende direttamente dall’esercito e quindi dal Pentagono. Un labirinto di competenze che ha contribuito alla disorganizzazione, ai ritardi, infine allo scaricabarile.

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dal nostro inviato

Federico Rampini


Nell’intervista al Washington Post i minuti più drammatici sono quelli subito dopo l’irruzione dei manifestanti, quando Sund supplica i capi dell’esercito di mandare rinforzi e si scontra con una catena di rinvii. Un fattore che sembra aver influito, è il timore di schierare reparti militari contro un corteo politico, un'eventualità che in passato era stata oggetto di critiche. Gli altri due capi della sicurezza di Camera e Senato, anche loro dimissionari, non hanno ancora fornito le loro versioni. Tace anche il Pentagono. È probabile che la verità emerga – ammesso che finisca davvero per venire alla luce – solo quando s’insedieranno la nuova Amministrazione e la nuova leadership del Congresso (il Senato passa ai democratici il 15 gennaio). È uno dei dossier più scottanti che erediterà il ministro della Giustizia di Joe Biden.

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