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La collana che riscatta gli scrittori black dimenticati dalla letteratura

LONDRA. Quest’anno per la prima volta nella storia del Regno Unito due autori neri hanno raggiunto la vetta delle classifiche della narrativa e della saggistica. Entrambe donne: Bernardine Evaristo con il romanzo premio Booker 2019 “Ragazza, Donna, altro” (edizioni Sur) e Reni Eddo-Lodge con il pamphlet “Why I’m No Longer Talking to White People About Race” (Perché non parlo più di razza con i bianchi). Un doppio successo inatteso, per Eddo-Lodge arrivato soprattutto sull’onda del movimento antirazzista Black Lives Matter.

Ma per Evaristo questo non è un arrivo, bensì solo il punto di partenza, con lo scopo di rivoluzionare il mondo editoriale britannico, secondo lei ancora “troppo schiacciato sui bianchi e poco interessato alla letteratura di scrittori black”. Per questo, la 62enne scrittrice londinese lancia ora una speciale collana che si chiamerà “The Black Britain, Writing Back”, ossia “la Gran Bretagna nera torna a scrivere”. Obiettivo: recuperare tutti quegli scrittori black britannici di valore negli ultimi decenni che però sono stati scartati o sottovalutati dalla critica, dai colossi editoriali e dai festival, solo perché neri.

“Secondo me non si tratta di razzismo latente”, spiega Evaristo all’Observer, “ma c’è di sicuro stata una riluttanza da parte dell’industria editoriale britannica a pubblicare le opere di scrittori neri in passato. Ora tutto questo cambierà”. Secondo la romanziera, autrice anche di “Mr Loverman” pubblicato in Italia per Fandango, i problemi sono tanti: “Per esempio il marketing: molti di questi libri, perché si pensava non andassero oltre i lettori neri o che non interessassero ai bianchi, non sono mai stati pubblicizzati a dovere. Oppure prendiamo i festival letterari: scioccante. Negli anni sono stati invitati pochissimi scrittori neri, e sappiamo bene che queste sono le occasioni migliori per gli autori”.

“Perciò”, continua Evaristo, “abbiamo creato mesi fa la Black Writers’ Guild”, un’associazione di scrittori neri contro la riluttanza del mondo editoriale inglese a pubblicare letteratura e saggistica black, lanciata insieme ad altri illustri colleghi come Benjamin Zephaniah e Malorie Blackman. E per questo la premio Booker 2019 – ex aequo con Margaret Atwood – adesso lancia questa nuova collana pubblicata nella serie Hamish Hamilton di Penguin Random House. Si parte con sei titoli, racconta il settimanale britannico: “The Fat Lady Sings” (“La donna grassa canta”), storia di salute e malattie mentali, della scrittrice e professoressa universitaria Jacqueline Roy, nata a Londra da padre giamaicano nero e madre bianca inglese, ispiratasi all’esperienza personale in un ospedale psichiatrico da ragazzina. Poi “Incomparable World” dello scrittore e intellettuale SI Martin, di Bedford e con lunghi capelli rasta, in cui si racconta una Londra del XVIII secolo attraverso alcuni soldati afro-americani, “Minty Alley” di CLR James (“un romanzo realista-sociale”, lo definisce il Guardian), lo psicodramma familiare “Bernard and the Cloth Monkey” di Judith Bryan, il thriller “The Dancing Face” di Mike Phillips e il legal thriller “Without prejudice”, “Senza pregiudizio”, dell’avvocata Nicola Williams. Un romanzo uscito nel 1997 ma che, secondo la sua stessa autrice, non ha mai ingranato “perché gli editori lo consideravano di nicchia e non pensavano che potesse interessare i bianchi…”.

Da molti mesi Evaristo sta facendo campagna per aprire sempre di più il mondo editoriale agli scrittori neri, attaccando la “whiteness” del sistema britannico. C’è ancora tanta strada da fare ma certo il cambiamento si incomincia a intravedere. Bernardine Evaristo e un’altra scrittrice nera, Candice Carty-Williams, hanno vinto l’anno scorso i migliori premi dei British Book Awards. E sempre nel 2020 il premio Booker (il corrispettivo dello Strega nel Regno Unito, anche se ora aperto ad autori di qualsiasi nazionalità che abbiano pubblicato in inglese oltremanica) è anche stato il più diverso della sua lunga storia. Più diverso perché per la prima volta nella cinquina finale è arrivato solo uno scrittore britannico e nato nel Regno Unito: gli altri finalisti erano tutti americani, indiani o africani, dopo esclusioni eccellenti – dai 162 tomi della prima cernita – come quelle di Hilary Mantel e Colum McCann. Il più diverso perché quattro finalisti su cinque erano neri e solo uno bianco. Il più diverso perché quattro scrittori su cinque erano al loro romanzo di esordio. E perché tutti i nominati attualmente non vivono nel Regno Unito.

Alla fine però, a vincere, nonostante il contesto “multi-kulti”, era stato il più bianco e britannico di tutti, seppur mezzo americano pure lui, dato che vive a New York da diversi anni oramai. E cioè Douglas Stuart, 44 anni, il favorito dei bookmaker, con la sua notevole opera prima “Shuggie Bain”. Un racconto potente e brutale, ambientato nella sua ruvida Glasgow degli anni Ottanta in guerra contro Margaret Thatcher, che ricorda un po'’ lo “scandaloso” Booker dato allo sboccato, estremo e “glaswegian” James Kelman nel 1994 con l’intraducibile “Troppo tardi, Sammy”.

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