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Pino Cuttaia: “Andrò alla scoperta dei capolavori della cucina di casa”

Positivo al Covid. Suona come una sentenza, un vero fulmine a ciel sereno nell’estate licatese. “Mi comunicarono il risultato del tampone l’undici settembre – racconta Pino Cuttaia, chef del bistellato La Madia – il giorno in cui avrei dovuto festeggiare il ventennale del ristorante e invece scappai in campagna, come un ladro nella notte, mentre mia moglie piangeva”.

Pino Cuttaia: “Ho sconfitto il Covid in campagna, cucinando insieme al cane”

Qualche estate fa Ronan Keating cantava "Life is a rollercoaster" (la vita è una montagna russa), ed è proprio così deve essersi sentito Cuttaia quest’anno, su un ottovolante. La chiusura durante la prima ondata, poi la riapertura e l’entusiasmo con un importante investimento per “Uovo di Seppia a Mare”, il suo progetto di cucina sostenibile balneare. Neanche il tempo di rifiatare e sul finire della stagione estiva un’altra tegola, la più temuta: la positività al Covid. La malattia, l’esilio in campagna, la guarigione e la speranza di una nuova ripartenza con un altro investimento, la ristrutturazione delle cucine della casa madre. Anche qui la storia che si ripete: una nuova chiusura, nuove incertezze generate dalla lotteria dei codici Ateco e molto altro ancora. Ed eccoci quindi.

Pino Cuttaia, come si fa dunque a resistere nella tempesta di questo sali e scendi continuo?
"Resisto grazie alla certezza che la situazione migliorerà, ma bisogna avere il coraggio di crederci. Abbiamo fatto degli investimenti in un periodo nel quale nessuno investiva. In venti giorni abbiamo aperto “Uovo di Seppia a Mare” e poi ancora ristrutturazioni alla Madia. Volevo vedere un ambiente nuovo e ho cambiato tutta la cucina e tutte le attrezzature. Ho voluto lanciare un messaggio di positività, non solo per la mia clientela, ma anche per mia moglie, per la mia famiglia che mi ha sostenuto in questo periodo difficile. Dopo il Covid volevo ricominciare con degli stimoli concreti e penso di esserci riuscito".

Torniamo a quel dannato undici settembre…
"Dopo l’esito positivo non sapevo come comportarmi, è stata una doccia fredda. Ero spaventato per mia moglie e i miei figli e l’unica cosa alla quale ho pensato è stata andar via. Sono corso a casa a preparare i bagagli e qualche genere di prima necessità. Ho cercato anche una casa in affitto in una zona di campagna, l’ideale per isolarsi. Non ho trattato neanche sul prezzo, certamente più alto rispetto al suo valore, ma volevo sbrigarmi e avevo paura che si speculasse sul mio nome e sulla mia malattia. La campagna è stata una scelta vincente sia per me che per il mio compagno d’avventura: il mio cane Balù, l’unica compagnia durante le tre settimane d’isolamento".

Come organizzava le giornate in quel periodo? Sarà stato complicato all’inizio.
"Parlando al telefono, leggendo e cucinando! Sentivo l’Asl giornalmente, mi chiedeva del mio stato di salute. Fortunatamente la febbre e i dolori sono scomparsi dopo i primi giorni. Il gusto e l’olfatto ci misero un po’ di più per ritornare al loro posto".

Come fa un cuoco a cucinare senza gusto e olfatto?

"Sembra una barzelletta, vero? (ride, ndr.). All’inizio mangiavo per abitudine, dopo ho iniziato a focalizzarmi sui gusti che avevo in mente. I miei parenti lasciavano la spesa fuori dalla porta e io la prendevo pensando a quello che avrei dovuto cucinare. Un giorno ad esempio mi portarono delle triglie freschissime e decisi di fare una zuppa. Mi aiutai con il ricordo del gusto: la triglia è un pesce inconfondibile perché sa solo di triglia. Alcuni pesci puoi confonderli, ma la triglia no, ha un gusto tutto suo. Allenando la mente ho allenato anche il gusto che poi, pian piano, è tornato insieme all’olfatto".

Cosa pensava in quei giorni di isolamento, cosa le è mancato davvero?
"Ho pensato molto al valore della campagna: apre la mente e rappresenta un rifugio per ogni necessità. A parte il contatto con la famiglia, mi sono mancate le mie cose, i miei utensili. Da casa sono riuscito a portare solo la pentola a pressione, dell’olio e delle conserve fatte da me".

Adesso sta bene e ha finalmente riaperto il suo ristorante. Alcuni suoi colleghi sono rimasti chiusi per scelta, altri per contingenza. Quando tutto sarà finito e si potrà ritornare a ragionare sul cibo quale cucina ci aspetta? Come vede il futuro della ristorazione dopo la pandemia?
"La mia cucina non si distacca mai dall’uomo. Io sfido chiunque, nel raggio di 500 chilometri a trovare una trattoria dove si fa, ad esempio, una frittata casalinga con carciofi e cipollotti, che in questo momento sono di stagione. Non la fa più nessuno perché sembra banale! Se la fanno, sono ancora trattorie a conduzione familiare. Ecco dove va la mia cucina: alla scoperta dei capolavori domestici, io li chiamo così. Mi piacerebbe essere una sorta di “mamma contemporanea”, partendo da quei piccoli gesti oramai perduti a servizio di una cucina che scalda il cuore e che accoglie, perché anche il ristorante stellato ci può fare sentire a casa".

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