Care lettrici e cari lettori,
C'è un fantastico mondo di cinema sospeso che aspetta di tornare in sala in questo 2021 che si è appena aperto. Il momento è difficile, ne abbiamo ragionato a lungo con la presidente dei David di Donatello nel numero che chiude l’anno passato. Stavolta allora ci concentriamo su un cartellone- kolossal capace di trasportarci nel mondo della fantasia, nelle prossime settimane dedicheremo ampio spazio a set e film italiani. Anche se le serie ci hanno fatto compagnia e abbiamo rivisto e/o fatto scoprire a compagni, amici e figli film gioiello e saghe iconiche, è ora di tornare a godere del cinema nel luogo per cui è nato. Certo, il panorama è cambiato e molti kolossal potrebbero, a prescindere dall’evolversi della pandemia, uscire in sala e sulle piattaforme contemporaneamente. Ma davvero c’è qualcuno che vuole vedere il pianeta sabbioso e il mondo fantastico di Dune fotografato da Roger Deakins sul piccolo schermo?
Abbiamo scelto di titolare "Ieri, oggi e domani" questo numero in cui il presente si muove in un limbo tra un passato fastoso e un futuro incerto. A proposito di ieri rendiamo omaggio a due maestri del cinema che se ne sono andati a distanza di un anno l’uno dall’altro, Francesco Rosi ci lasciava il 10 gennaio di sei anni fa, il 19 gennaio del 2016 si portava via Ettore Scola. Per l’occasione pubblichiamo l’edizione integrale di una intervista a Scola che ricordava l’amico Rosi. Si ricordano aneddoti e caratteri, ma si racconta anche un’Italia e un cinema e una generazione di cineasti che hanno avuto la capacità di incidere e accompagnare la storia del nostro paese e di renderci fieri nel mondo. Si ride, si pensa, ci si commuove in questa carrellata che vede aggiungersi le firme di Paolo Sorrentino, Roberto Saviano, Paolo D'Agostini, Maria Pia Fusco…
Buona lettura, buone visioni, buon 2021
Arianna Finos e Chiara Ugolini
Almeno in Italia si parte con la meraviglia in persona: Wonder Woman 1984 è già uscito negli Stati Uniti, da noi la Warner ha annunciato che sarà il primo titolo a tornare nelle sale non appena riapriranno. Torna la coppia Patty Jenkins – Gal Gadot in un film certamente non perfetto ma godibile, che ci immerge negli anni Ottanta. Ecco il nostro incontro con le protagoniste. Regista e attrice sono già sul set della terza puntata. Intanto per i fan accaniti c’è anche il ritorno di Justice League director's cut, firmato da Zack Snyder con il Batman Ben Affleck. Per vedere la nuova versione incarnata da Robert Pattinson dovremo aspettare il 2022. Tornano gli antieroi di Suicide Squad, diretti stavolta da James Gun con Margot Robbie, Pete Davidson, Alicia Braga: c'è grande curiosità per la versione dell’ex signore dei Guardiani della Galassia. Restando sui supereroi, ecco il capitolo finale della Vedova Nera, Black Widow con Scarlett Johansson affiancata dalla sorella Yelena, emergente del cinema indie Florence Pugh e probabile nuova Vedova della nuova fase Marvel. Ci sono anche Gli eterni, con Angelina Jolie, Richard Madden e Kit Harington, diretti da Chloe Zhao, già vincitrice del Leone D’oro a Venezia con Nomadland, protagonista Frances McDormand, attesissimo e in prima fila nella corsa agli Oscar. Questa nuova compagine allarga la piattaforma dell’inclusione con una coppia lgbt e un protagonista non udente “ma nulla è funzionale, tutto invece organico alla storia e ai personaggi”. Infine ecco Shang Chi and the legend of the ten rings, per la prima volta al centro c’è un personaggio asiatico.
È indubbio che tra i titoli più attesi ci sia il Dune di Denise Villeneuve (che rispetto al timore reverenziale per Blade Runner non teme confronti rispetto alla sfortunata trasposizione di David Lynch), le cui prime immagini del deserto giordano sono bellissime e il cast di grandi stelle: Timothée Chalamet e Zendaya, Oscar Isaac, Josh Brolin, Javier Bardem, Rebecca Ferguson, Dave Bautista, Jason Momoa. Sarà solo la prima parte di due film (ma dipende sempre dall’accoglienza del pubblico). Ancora segreta la trama di Matrix 4, che dovrebbe chiudere l’anno con il ritorno dietro la macchina da presa di Lana Wachowski che ritrova Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, mentre ci sarà una versione giovane di Morpheus e un viaggio nel tempo.
Restando sul fronte vintage ecco il ritorno di Space Jam: A new legacy con LeBron James dopo il successo del primo film nel 1996 che mescola live action e la banda a cartoni dei Looney Tunes capitanati da Bugs Bunny. A proposito di eredità, torna Ghostbusters-Afterlife, ma stavolta con la partecipazione del cast originale (Bill Murray, Dan Aykroyd, Ernie Hudson, Sigourney Weaver), anche se i protagonisti sono ragazzini e dalle prime immagini si immagina l’influenza di Strangers Things, non solo per la presenza di Finn Michael Wolfhard, ma anche per l’ambientazione non più metropolitana ma in una piccola città della provincia americana. Interessante, oltre alla scrittura di Dan Aykroyd, anche per la regia firmata da Jason Reitman, figlio di Ivan, che ha diretto il primo film. Potrebbe rivelarsi una divertente sorpresa Free guy- Eroe per gioco di Shawn Levy (Una notte al museo), in cui il bancario Ryan Reynolds scopre si essere un personaggio di un videogioco.
Non è fantascienza ma ondeggia nella fantasia il musical West Side Story, la nuova versione del classico di Broadway riproposta da Steven Spielberg, l’amore contrastato tra Toni e Maria che pesca dal Romeo e Giulietta scespiriano e punta sugli emergenti Rachel Zegler e Ansel Elgort. E poi ecco i nuovi capitoli di 007, Non c’è tempo per morire segna l’addio di Daniel Craig e un cambio di genere per l’agente al servizio di sua maestà, e l’ennesima Mission impossible 7 di Tom Cruise con una parte di ambientazione italiana, girato anche tra Venezia e Roma (rivedremo l’attore quest’anno con l’uniforme da Top Gun in Maverick). Sul fronte azione fantastica ecco Fast & Furious 9, ancora vendetta e inseguimenti.
Per l’Italia c’è il cine-fumetto vintage dei fratelli Manetti, il Diabolik vintage con protagonisti Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea da cui ci si aspetta molto. Come pure per il Freaks out di Gabriele Mainetti, ambientato nella Seconda guerra mondiale e con complicati effetti speciali (che hanno fatto slittare il film per un lungo periodo): nel cast dei freaks che si ritroveranno a lottare con i nazisti ci sono Claudio Santamaria, Giorgio Tirabassi e Pietro Castellitto. Sul fronte cartoni l’attesa maggiore per noi è affidata a Luca, grande produzione Pixar firmata da un italiano, Luca Casarosa: Luca vive un’indimenticabile estate tra pasta, gelato e motorino, un film ambientato nella riviera italiana , storia universale di diversità e senso di inadeguatezza. E poi Raya e il drago, giovane guerriera che cerca di unire le varie tribù di umani e trovare l’ultimo drago e Sing 2. Si spera sarà pronto l’ultimo gioiello del maestro Hayao Miyazaki che ha appena compiuto ottant’anni e lavora alacremente al suo How do you live? Curiosità per Tom e Jerry, film tra animazione e live action che racconta le origine della rivalità tra il gatto e il topo. Grande attesa anche per l’arrivo di Cruella, Crudelia Demon incarnata da Emma Stone e per The French Dispatch di Wes Anderson che ci trasporta nel suo mondo pastellato d’autore insieme alla sua famiglia artistica.
"Niente lustrini, qui c'è il cinema", diceva Ettore Scola ricordando l’amico Francesco Rosi, scomparso il 10 gennaio del 2015, un anno prima che morisse anche lui, il 19 gennaio del 2016. Con Scola e Rosi se ne andavano due maestri e l'ultima guardia di una grande generazione di cineasti che hanno svolto con i loro film un grande servizio artistico e civile al nostro Paese. Come dice Scola nell’ultima intervista che gli facemmo, nel giorno della morte del collega, nel suo studio, i film di Rosi, ma anche i suoi aggiungiamo noi, sono stati e sono importanti nella formazione di tutti, anche di chi non li ha visti. In quest’anno pieno di sfide il loro ricordo e la loro lezione va tenuta presente, un punto fermo e irrinunciabile. Oltre all’intervista, per la prima volta in versione integrale, ne aggiungiamo altre, insieme ad articoli che li ricordano, che riflettono sui loro film. È una carrellata che ripropone anche l’umanità e il carattere di due registi dalla personalità forte accompagnata da una necessaria ironia.
Francesco Rosi: "Nei miei film un atto d'amore per la mia città"
Saviano incontra Rosi: "È ancora mani sulla città"
Garcia Marquez, il ricordo di Rosi: "Quel film insieme fu un'avventura" di Maria Pia Fusco
Ettore Scola 'Ho avuto tanto, basta col cinema non chiudo la carriera in bruttezza' di Maria Pia Fusco
Ettore Scola: "Franco, Fellini e io… La nostra generazione ha cambiato l'Italia"
Sorrentino: "Ettore Scola insuperabile, i suoi film mescolavano ironia e malinconia"
40 anni di 'Una giornata particolare'
Sergio Castellitto: “Risate e nostalgia, ecco il film che Scola non riuscì a girare”
Brutti, sporchi e cattivi, la Roma di Scola torna sul monte Ciocci di Maria Pia Fusco
Scola un anno dopo sulle montagne abruzzesi di Paolo D'Agostini
Videointervista Ettore Scola: "Il cinema? Un lavoro duro, devi avere in mente qualcosa da dire"
Videointervista Le figlie di Scola, Paola e Silvia: "Un papà ingombrante, ma generosissimo"
Videointervista Ettore Scola: "I giovani non devono dimenticare Pasolini"
Videointervista Gli scarabocchi di Scola
“Prima si moriva una volta sola, una volta per tutte. Adesso invece la macchina della comunicazione la ripete, ripete la morte continuamente. Prima si diceva “ricordati che devi morire”, adesso si dice “ricordati che sei morto, non te lo scordare…”. L’amara ironia di Ettore Scola fino all’ultima intervista, il 10 gennaio del 2015, nel suo studio ai Parioli. L’occasione fu la scomparsa del suo amico Francesco Rosi, un anno prima della sua morte, il 10 gennaio del 2016, cinque anni fa. Scola, 83 anni, era gentile e triste, una sigaretta dopo l’altra nell’ora trascorsa insieme. La voce ridotta a un filo “Eh cara, non so che dirti. So che questa intervista verrà malissimo. La volevo fare, ma già non sono molto amico delle interviste, poi in più molto dipende dallo stato d’animo, dalle cellule, dalle molecole. Ci sono dei giorni in cui ti senti molto più assente e stupido. Poi in più l’età. Non è l’ideale per fare un’intervista su qualunque argomento, anche gaio, figuriamoci poi su questo”.
Ricorda il primo incontro con Rosi?
"No, perché si ricordano con più precisione i dettagli dell’incontro con persone che poi hai perso di vista e a cui poi non sei stato legato. Ma quando si tratta di un amico con cui hai avuto consuetudine e frequenza è più difficile. Sicuramente già lo conoscevo come spettatore, certo".
Vi telefonavate tutti i giorni.
"Era un rito fisso, la mattina, da dieci anni. Confrontavamo le opinioni sui fatti del paese. Attaccavamo il telefono e lui dieci minuti dopo richiamava per indignarsi su un altro argomento. Negli ultimi anni l'amicizia era diventata stretta, dopo i settant'anni si diventa coetanei e io ero invecchiato più in fretta per stare al passo con lui. Facevamo lunghe passeggiate da casa sua, in via Gregoriana, fino al Pincio, al bar di villa Borghese. Ci si vedeva anche per parlare di niente, intrattenere silenzi tra noi. Per sentirci solidali di un progetto comune: il miglioramento del paese. L'attaccamento al paese ha fatto la grandezza del suo cinema e di lui come uomo. Film dopo film si è dedicato a dare un'identità e una coscienza a questo paese che non ha né l'una né l'altra. Anche i giovani che non lo conoscono debbono essere grati a lui, se qualche percezione della realtà gli è arrivata. Come accadeva con gli articoli domenicali di Pasolini sul Corriere, che servivano proprio a individuare l’identità di questo Paese così vario, ricco, slabbrato, sgangherato, e la situazione è andata peggiorando. Adesso un ragazzo che vorrebbe interessarsi del suo Paese e cosa sta accadendo immagini a quale punto di vista può agganciarsi? Accende la tv, tra talk show tutti uguali, e sicuramente cambia canale, perché non parlano di lui, parlano di una identità caotica che gli sta intorno, dove le opinioni più aggressive si contendono tra loro senza amore per i giovani ascoltatori, gli unici che andrebbero amati e ascoltati perché loro si preparano a fabbricare un paese che speriamo sia migliore e quindi avrebbero diritto alla chiarezza e all’onestà".
Sulla sua libreria spicca una foto di Gramsci. Lei e Rosi discutevate di politica.
"Discussioni, mai litigi. Ci interessava la grande politica, che è espressione più alta dei rapporti umani. Non era un regista impegnato o militante, erano parole che lo facevano assai incazzare. Aveva un senso dell'umorismo che non metteva nei film ma che era presente nelle letture e nella conversazione. Io praticavo un po' di più di lui l'ironia, ma senza perdere di vista lo scopo. I nostri film sono diversi per ispirazione e modi e linguaggi, ma gli intenti erano vicini. Volevamo raccontare un paese che amavamo alla ricerca di qualche barlume di ottimismo e con la speranza che le cose potessero cambiare".
Andavate spesso al cinema insieme.
"Ero goloso delle sue reazioni, sempre rumorose, evidenti, nei cinema iniziava a urlare: "ma chi è questo e che sta dicendo?", aveva un dialogo diretto con la pellicola. Come se in quel momento si potesse ancora modificare. Era uno spettatore attivo, un fabbricatore di quel che vedeva. Era divertente. S'incazzava, s'alzava, andava via, poi ritornava. Non era mai una compagnia banale".
Cosa le mancherà di più?
"Le commemorazioni riparano all'oblio e riguardano le opere, non l'autore, la persona. A me mancheranno i riti comuni, le abitudini, il suo carattere. La benevolenza verso gli altri che c'era sotto la sua ira. La gentilezza d'animo, lo era con tutti. Era elegante, come napoletano teneva moltissimo alle scarpe, all'acqua di colonia. Aveva piccole fisime sue, spesso motivo di divertimento da parte nostra. Che però descrivevano comunque una voglia di piacere agli altri e di farsi piacere gli altri".
Lei gli aveva consegnato il premio Fellini al Bifest di Bari.
"Fu una serata di divertimento, anche autoironico. Gli piaceva stare con gli amici, cenavamo spesso insieme. L'ultima occasione era stata per il suo compleanno, con Dudu La Capria, Furio Colombo, Giorgio Napolitano, con cui rievocava la giovinezza comune a Napoli".
Facevate anche battaglie pubbliche.
"Su Franco si poteva sempre contare. Con Lizzani e Montaldo denunciammo una deputata che in Parlamento disse che Monicelli era "morto solo e abbandonato", una falsità totale. Perché Mario non è mai stato abbandonato da nessuno, non aveva assolutamente un senso di squallore e di solitudine intorno a se stesso ma gli piaceva soltanto vivere la vita come l'aveva vissuta: quando ha visto che non poteva più viverla come lui era abituato a viverla, ha preferito decidere lui il momento di interromperla".
L'energia a Rosi non mancava.
"Fino ad alcuni giorni fa parlava di un progetto mai realizzato su Cuba che aveva ripreso in mano. Era venuto a vedere il mio film su Fellini, si era commosso. Amava Federico e gli piaceva che un regista si occupasse di un altro regista. Perciò aveva fatto con gioia il libro con Peppuccio Tornatore".
La vostra generazione di registi, sceneggiatori, attori ha vissuto in comunità.
"Io non credo di aver fatto nessun film senza che certi colleghi, certo non tutti, non conoscessero, non avessero già letto la sceneggiatura, di cui non avessimo parlato insieme. Era una voglia che avevamo, quella di cercare il giudizio dell'altro. Un po’ veniva per esempio a Federico e a me dall'abitudine al giornale Marc'Aurelio, dove c'era una redazione, dove ci si incontrava due volte a settimana e si facevano riunioni di redazione in cui ognuno raccontava, leggeva ad alta voce, faceva leggere i suoi progetti. Sapendo che quindi arrivavano pernacchie e critiche “ma chi te lo fa fa”, “ma è ‘na stronzata” ma lo volevamo perché sapevamo che comunque quelle critiche avrebbero consolidato e arricchito quello che stavamo facendo. Era una regola del mestiere".
Rosi era più appartato?
“Forse un po’ più isolato, non aveva fatto parte dei giornali, anche del partito, lui era socialista prima, e poi… non aveva avuto questa abitudine al confronto. Però anche lui amava raccontare, sto preparando questo film… e lo raccontava con i particolari, perché anche lui voleva sapere cosa se ne pensasse. Ma solo perché, ripeto, noi eravamo più fortunati. Purtroppo i giovani di oggi non hanno questa fortuna. Intanto non hanno i modelli che avevamo noi, fin dall'inizio sono stato spinto dalla emulazione, “vorrei essere” ma non solo Fellini ma Steno, Monicelli… si stimavano e si ammiravano gli altri e quindi si cercava in qualche modo di raggiungerli, di seguirne le piste. E questa è una fortuna per il giovane che comincia e io queste fortune le ho avuto tutte. Ho avuto la fortuna di incontrare Federico, Amidei, Age e Scarpelli, Zavattini, quindi tutta gente da imitare, gente da derubare anche. Invece oggi i giovani quasi giustamente non si frequentano, non si interrogano a proposito dei loro progetti. Ci sono ormai tanti registi che lavorano solitariamente. Perché gli manca questo desiderio di gruppo che noi avevamo e ci veniva anche dalla guerra che era appena finita. C'era un paese pieno di macerie di tutti i tipi che andava ricostruito, che andava rifabbricato, ripensato, resettato. E quindi sapevamo che ognuno di noi avrebbe potuto in qualche modo, anche il più piccolo e banale, collaborare a questa ricostruzione e quindi ce la mettevamo tutta. Quindi eravamo famelici degli altri… per sapere, per raccontargli cosa volevamo fare noi. Questa è la fortuna che la mia generazione ha avuto. Non credo ce la si possa cavare dicendo ma sai oggi i giovani registi non si parlano o conoscono, è normale. Da noi partiva da un amore per l'Italia che non c'è, oggi è difficile dire a un giovane “ama L’Italia”, se le dico lei deve amare l’Italia lei mi guarda strano… che Italia? quale paese? Invece noi avevamo questa sensazione: che c’era un paese che era bello e che poteva ritornare bello anche se imbruttito dalla guerra, dal Nazismo, dalla fame. Eravamo in questo una comunità, sì".
Il film di Rosi che dal punto di vista personale ha amato di più?
"A parte qualche vacanza che si è voluto prendere da se stesso, i film in Sudamerica e Spagna, tutti gli altri compongono quel gruppo solido di informazioni sul paese, sulla nostra indole, mentalità, pensiero. Fellini ha sempre rifiutato di muoversi dall'Italia, da Roma, perché diceva “guarda che è un pericolo, come vai fuori sbagli. Sarebbe come quando Negulesco viene a Roma a fare Tre soldi nella fontana, per girare un film devi sapere anche come sono quelli che si sono fermati a guardarti mentre fai le riprese. Devi conoscere il paese, la gente, la mentalità, le sue furbizie, le sue carenze. Fuori dall'Italia non sai niente. Già a stento ci sfugge l'Italia perché molte cose non lo sappiamo, pensa a varcare i confini: quindi lui non ha mai girato un metro fuori dall'Italia. Quindi forse i film di Rosi sul Sudamerica, o sulla Spagna, o in altra epoca, forse ecco sono meno riusciti, quelli che ti stanno meno nel cuore. Però gli altri, il grosso poi della sua opera, Salvatore Giuliano, Mani sulla città, ma anche La sfida, I tre fratelli, compongono proprio quel gruppo solido, duro, di informazione sul Paese, sulla nostra indole, sulla nostra mentalità, sul nostro pensiero. Di cui sicuramente hanno fatto tesoro anche quelli che non l'hanno visto. Può sembrare un paradosso, invece no: anche le cose trascritte o dipinte o filmate o messe in musica non valgono soltanto per quelli che le usano, ma valgono per quella generazione, valgono per chi vive quell'epoca. E quindi il gruppo dei suoi film più celebrati e più noti, quasi tutti tranne quei tre o quattro di cui parlavamo, formano un corso di approfondimento di se stessi per chiunque. I giovani di oggi, anche se vanno a vedere Le mani sulla città sentono che si sta parlando di oggi, di Roma e non soltanto di Napoli. Perché è una cosa che si rivolge direttamente a loro. Ripeto, anche se questi loro non lo conoscono e non vanno a vederlo".
In comune avevate anche l’insofferenza per le cerimonie, per i premi, le premiazioni.
”Di sicuro le ufficialità ma anche le meno ufficiali che fanno parte della vetrina, non amavamo le interviste, credo che venga un po’ da quello, da un certo pudore, 'ma che faccio mi metto a parlare di me adesso…' non mi apparteneva e neanche tanto a lui. Forse a Franco lo interessava più sé stesso di quanto a me stesso interessi me. Lui come punto centrale aveva Franco Rosi, io come punto centrale ne ho una decina che non sono però Ettore Scola, sono due punti di vista diversi che però collimano in qualche modo. Parlare di me non mi piace perché intanto non so se mi conosco abbastanza per parlarne, in più sono pieno di dubbi che quindi trasmetto a quelli con cui parlo. Poi questi addii sono frequentissimi… non mi piace parlarne perché so sempre che chi muore giace e chi vive si piace. Non mi piace piacermi. Essere sopravvissuti non è un merito. Questo anche ci univa”.
E poi?
"Un’altra cosa che ci ha legato molto è proprio la nostra piccola differenza di età. Per cui per diventare amici è come se come se io fossi invecchiato più in fretta per essere più vicino a lui. È avvenuto diciamo negli ultimi 10 anni. Gilles Martinez, che è stato un ambasciatore francese, marito della sorella di Bruno Buozzi, ed era anche molto attento al cinema ha scritto un libro, Italianissimi. Nel libro spiegava che se avesse dovuto scegliere due italiani più italiani degli altri avrebbe puntato su Federico Fellini e Franco Rosi, proprio perché questi due hanno contribuito alla conoscenza di un Paese che veniva o meno conosciuto o abbastanza disprezzato. Grazie a loro due, questo Paese ha preso una fisionomia più netta, più precisa, più invidiabile. Non era una brutta considerazione. Proprio perché questi due, Federico e Rosi, avevano dato una coscienza italiana, scoperto, inventato, divulgato una coscienza italiana. Quando va via qualcuno è sempre doloroso, ma forse in certi periodi è ancora più doloroso di altri. Stiamo vivendo una continua fase di transizione, di quei periodi in cui lo storico se la cava scrivendo poche righe. E non abbiamo guide quando servirebbero”.
Il segreto del talento di Rosi?
"È il segreto di sempre, di tutti: dietro i film di Rosi, dietro le sue riflessioni, le sue cocciutaggine. C'era anche l'uomo. Un uomo, importante, di commozione, ancora dopo anni soffriva per la morte di Giancarla la moglie ed era così sensibile all'amore per la figlia Carolina. Proprio perché c'era dietro il maestro, l’artista, il regista, dietro l'uomo occupato dai pensieri sulla nazione, c’era l’uomo occupato dai suoi pensieri umani, di affetto, di amore".
Il viaggio per il mondo attraverso le riflessioni dei colleghi stranieri ci portano l'interessante dialogo tra i due principali critici del New York Times che a due voci commentano l'anno passato e fanno previsioni per quello che verrà, un articolo dal titolo illuminante: "Quest'anno è stato un disastro. Speriamo che il sequel sia meglio". Altre riflessioni sul futuro dalla "bibbia" del cinema Variety, anche qui a doppia firma "come il 2020 ha cambiato Hollywood e il cinema per sempre" e chiudiamo infine con una voce fuori dal coro. È quella dell'attore e regista Mathieu Kassovitz riportata su Le Figaro: "Il cinema in sala, scusatemi, non è essenziale nella situazione che stiamo vivendo. Non è assolutamente essenziale. Avete la televisione e potete guardare film a casa come leggere dei libri". Una posizione che ha già suscitato dibattito.
Sono passati 33 anni. Ci credete? E Eddie Murphy è di nuovo principe africano in terra americana. Questa volta però Il principe cerca figlio approda sul piccolo schermo, niente sale cinematografiche, direttamente su Prime Video dal 22 marzo. Questa volta nel Queens, dove tutto ebbe inizio, è fuggito suo figlio, il principe ereditario, e Akeem, ora re di Zamunda, deve assolutamente fare di tutto per ritrovarlo. Il suo ritorno in America sarà come sempre accanto al sodale consigliere Semmi, Arsenio Hall. Ironia e politicamente scorretto garantiti fin dal trailer.
Buona settimana e buone visioni
Arianna Finos e Chiara Ugolini
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