ROMA – Prendono tutti tempo, nel mega summit di Palazzo Chigi. Lo fanno dicendo che la colpa è della controparte. Congelano la crisi, passando al nemico il cerino. Lo fa Giuseppe Conte, aprendo a un patto di legislatura su cui si ragionerà «nei prossimi giorni», ma soltanto dopo aver approvato il Recovery martedì in consiglio dei ministri. Non è da meno Matteo Renzi, che dà ordine ai suoi di non sbilanciarsi sulla sintesi della bozza, di chiedere un testo su cui si pronunceranno «entro 24 ore», e anche di ipotizzare un nuovo summit (scenario che si affrettano a smentire a riunione in corso, quando gli spifferi hanno già raggiunto i giornali). Mettono in frigo lo strappo, ma nessuno può dire se stanno solo giocando a palla avvelenata – per non intestarsi la responsabilità della crisi – o se si tratta piuttosto dell’embrione di una mediazione. Non sembra, visto che Iv parla di «governo al capolinea».
Renzi e il fascino del palcoscenico
di
Stefano Folli
Alta tensione
Il clima, nella sede di governo, è pessimo. Intossicato da giorni di accuse. Prima di riunirsi, ambasciatori dem sentono Renzi. L’ex premier fa sapere che sul Recovery non arriverà il via libera – «e come potrei, se chiedo un testo e ci presentano una cosa buona solo per internet, per Facebook o per la propaganda dei portavoce di Conte?» – e che la delegazione renziana alzerà ancora l’asticella. Così avverrà, perché Davide Faraone pretende che si dia anche il via libera al Mes e al Ponte sullo Stretto. Conte, avvertito del copione, reagisce allargando di molto il vertice, tanto da farlo sembrare un consiglio dei ministri in miniatura. L’obiettivo è rendere plasticamente l’idea di un assedio, «l’isolamento politico» nel quale rischia di cacciarsi Italia Viva. L’avvocato chiede a tutti – Pd, Movimento e Leu – di mostrarsi duri sul Recovery. Dando forza a quello che lui stesso dirà, chiudendo l’incontro: il documento è «un punto di equilibrio, migliorato significativamente grazie ai partiti». Oltre, è il messaggio, non sembra possibile andare. Si potrà invece discutere del patto di legislatura, ma separatamente e dopo l’approvazione del piano per i fondi Ue: «Nei prossimi giorni – sostiene – vi inviterò al confronto per concordare una lista di priorità da qui al 2023. Ma il Paese non può permettersi un ritardo sul Recovery. Sarebbe imperdonabile». L’obiettivo del premier è impedire a Renzi di rompere sul dossier più importante.
L'ultimatum di Zingaretti: "No a governi tecnici, avanti con Conte o voto"
di
Giovanna Vitale
La linea di Gualtieri
Tutti dicono di voler correre. Ma tutti costruiscono un cuscinetto temporale che li separi, ancora, dalla resa dei conti. Roberto Gualtieri – che ha migliorato il testo con Peppe Provenzano – ha in mente di inviare la bozza a Iv lunedì, per poi arrivare a un Consiglio dei ministri martedì o mercoledì. Renzi vuole allontanare quel passaggio, perché non gli conviene approvare il Recovery e dover poi rompere, nel caso, sulle caselle dei ministeri.
Come in ogni trattativa in cui c’è in ballo la sopravvivenza, tutti minacciano e tutti si nascondono un minuto dopo. «Non prendo tempo – si sfoga Renzi a sera – ma devo leggere il testo perché non posso fidarmi di chi ha sbagliato a scrivere la manovra. Se vogliono mettere soldi sulla sanità, devono farlo col Mes che costa meno. Lo scriveranno sì o no? Come fanno a dire che voglio tenere sequestrato il Recovery, una cosa che non c’è? Ora basta, ci stanno prendendo per il c…». E però anche il Pd, Conte, il resto della maggioranza evitano di forzare, allontanano la resa dei conti, anche se alzano la voce – come fa Andrea Orlando – che aveva appunto chiesto di «non sequestrare il Recovery per la verifica di maggioranza». Il resto sono scaramucce e coltellate a favore di cronisti. Faraone chiede il ponte sullo Stretto, Renzi in tv lo slega dalla partita. Boschi insiste per i porti nel Mezzogiorno, Conte le risponde che «a pagina dieci la missione 3 li prevede». Lei replica: «Volevate approvare un documento senza averlo letto, non accetto lezioncine».
Conte-Renzi, il lungo addio. Storia di un rapporto sempre sull'orlo della rottura
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Concetto Vecchio
La prima verità è che Conte aspetta che sia Renzi a strappare, perché ritiene che a quel punto potrebbe addirittura far nascere una maggioranza parlamentare alternativa, oppure comunque compattare i giallorossi nella richiesta di voto. La seconda verità è che il leader di Iv si è convinto che altri giorni di logoramento non potranno che aiutarlo a costringere il premier alle dimissioni. A essere penalizzato, da questa crisi congelata e in piena pandemia, è il Paese. Perché senza l’approvazione del Recovery, non si può neanche fare il nuovo scostamento di bilancio che serve a finanziare un altro decreto ristori.
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