"Non sono persone, sono angeli, con una umanità immensa". Domenico Di Lorenzo, 67 anni, è uscito dall'inferno poco prima di Natale. Una rinascita in tutti sensi. "Il Covid ti toglie ciò che è più essenziale, il respiro", dice.
Dei venti giorni nel reparto Obi di Medicina d'urgenza dell'ospedale San Carlo di Potenza, dove è stato ricoverato il 18 novembre con una polmonite interstiziale da Covid, Domenico ne ha trascorsi alcuni con il casco CPAP, "che ti immobilizza la testa e le spalle, comprimendoti – racconta – È come stare in treno con i finestrini aperti h 24. Ricordo che a un certo punto ho pianto perché avevo sete e non potevo bere".
Quando le condizioni di salute sono migliorate ha indossato una maschera a ventilazione non invasiva, che almeno gli ha consentito di ingoiare con la cannuccia. Giorni impossibili se non fosse stato per lo staff del reparto. "Mi incoraggiano – continua – non c'è stato giorno in cui non abbia ricevuto una parola di conforto, una frase spiritosa, che non abbia sentito la loro vicinanza. Mi accarezzavano, mi tenevano la mano. Hanno gioito con me e più di me per ogni mio miglioramento. A partire dal primario, che passava ogni giorno e io nemmeno sapevo fosse lui. Non vedi i volti, all'inizio non riesci a distinguere. Poi riconosci le voci, quando stai meglio puoi chiedere i nomi. E così si crea un rapporto che potrei definire addirittura di amicizia. Non è stato facile. Nella mia stanza due persone non ce l'hanno fatta".
Domenico e il suo compagno di degenza, Aldo D'Adducci, di qualche anno in meno, invece, sono usciti dall'incubo. "Ci tenevamo a raccontare quello che abbiamo vissuto – ripete Domenico – perché spesso si parla solo del decorso della malattia, ma non di quello che succede in quelle corsie dell'ospedale, dove anche le persone che fanno le pulizie hanno un'attenzione costante. Non potró mai dimenticare la volta in cui finalmente ho visto per la prima volta i volti di chi mi ha curato, insieme a quello di mia moglie. Erano giorni che non aveva contatti con me se non tramite i medici e gli infermieri. Il giorno in cui ho potuto finalmente mettere solo la mascherina dell'ossigeno, quello che io definisco il mio angelo custode, Giuseppe, ha preso il cellulare e ha videochiamato mia moglie dicendomi: vedi chi c'è. Sono i medici, gli infermieri, gli Oss, gli Operatori socio-sanitari – conclude – l'unico contatto che hai con la vita in quei giorni e posso tranquillamente affermare che senza di loro non so se ce l'avrei fatta".
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