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Israele: vaccino a tappe forzate, ma gli arabi restano indietro

Tel Aviv – Con 800,000 persone che hanno ricevuto la prima iniezione del vaccino Pfizer in meno di due settimane, Israele svetta nelle classifiche mondiali per numero di vaccinati per abitanti (su una popolazione di 9,2 milioni). A fronte della risposta positiva oltre le aspettative, il Paese si trova però ad affrontare la sfida dello scetticismo rispetto all’iniezione ancora prevalente tra i cittadini arabi, che rappresentano il 20% della popolazione. La maggior parte delle città e dei villaggi arabi infatti si trova in fondo alla classifica dei municipi per numero di vaccinati. La risposta carente da parte della popolazione araba alla campagna vaccinazioni ha portato a un fenomeno che si sta diffondendo il tutto il Paese: i cittadini di religione ebraica, tra cui il tasso di richiesta dell’inoculazione è decisamente superiore, raggirano le lunghe liste di attesa negli ambulatori dei loro comuni di residenza per venire a vaccinarsi nelle città arabe.

A Baka al-Gharbiah, Umm el-Fahm, Nazareth oltre l’80% dei vaccinati sono ebrei che arrivano da città dove gli appuntamenti, per via dell’alta domanda, possono essere fissati anche tra due mesi. Molti raccontano che nelle città arabe non solo è facile ottenere un appuntamento dall’oggi al indomani, ma è anche possibile presentarsi senza appuntamento e ricevere l’iniezione in loco senza lunga attesa. E ci sono pure quelli che non rientrano nelle categorie che in questa fase hanno accesso al vaccino – cioè i cittadini sopra i 60 anni e quanti soffrono di malattie pregresse, oltre al personale sanitario – che tentano la loro fortuna nelle cittadine arabe vicine, e quando a fine giornata rimane un surplus di dosi non somministrate, riescono a ottenere l’iniezione.

Raed Daka, il sindaco di Baka al-Gharbiah, cittadina di 30,000 abitanti che si trova a due passi dalla linea verde che divide Israele dalla Cisgiordania, al centro di una strada immaginaria tra Cesarea e Jenin, vede anche un’occasione in quello che scherzosamente chiama ‘turismo medico’. “E’ l’opportunità di farci conoscere, di creare un’interazione. Normalmente si tira dritto sull’autostrada 6 e invece chi entra per il vaccino scopre anche una realtà che non conosceva e su cui aveva molti pregiudizi”.

La tenue risposta alla campagna vaccini tra la popolazione araba è un fenomeno che preoccupa molto il ministero della Salute, in quanto potrebbe minare l’obiettivo di arrivare a una immunità di gregge già a fine marzo. Il premier Netanyahu oggi ha visitato uno degli ambulatori nella città di Tira invitando la popolazione a non avere timore del vaccino. “Il vaccino è sicuro, protegge noi, le nostre famiglie e il nostro Paese. Ne abbiamo portato a sufficienza per tutti, ebrei e arabi, religiosi e laici. Tutti possono e devono vaccinarsi”.

Ayman Saif, già a capo dell’Autorità per lo sviluppo economico delle minoranze, è il consulente per la società araba del Commissario per la lotta al Covid. A colloquio con Repubblica specifica che al momento il tasso di vaccinazione tra la popolazione araba è solamente del 5%. “La campagna vaccinazioni è appena iniziata e stiamo investendo molto per cambiare la percezione tra i cittadini arabi: più pubblicità, apertura di ambulatori anche nei villaggi più piccoli, ma soprattutto utilizzando l’influenza che il nostro eccezionale personale sanitario ha sulla popolazione”.

Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica israeliano, il 47% dei farmacisti, il 25% degli infermieri e il 17% dei medici sono arabi, costituendo una media del 20% del personale medico israeliano. “Se ognuno di loro portasse la propria famiglia a vaccinarsi, già sarebbe un passo enorme”. A frenare la partecipazione dei cittadini arabi alla campagna vaccinazioni, spiega Saif, è innanzitutto la larga diffusione di fake news. “Va considerato anche che la possibilità di esposizione a teorie della cospirazione in lingua araba è infinitamente più alta rispetto all’ebraico, e questo ha un impatto drammatico. Stiamo investendo molto anche in campagne pubblicitarie sui social media. Abbiamo vissuto questo problema anche sull’esistenza stessa della malattia, con la conseguente mancanza di rispetto delle regole che ha portato all’alto tasso di contagio che ha caratterizzato questo settore”.

Le città arabe, insieme ai comuni dove risiede la popolazione ebraica ultraortodossa, hanno espresso i numeri più alti di contagi durante tutto il corso della pandemia. Si tratta di comunità caratterizzate da alte percentuali di densità demografica, con infrastrutture spesso carenti e dove le forze dell’ordine stentano a fare sentire la propria presenza. In più i matrimoni con centinaia di invitati e le preghiere di massa hanno contribuito a portare alle stelle la morbidità.

Tra la società ultraortodossa la risposta alla campagna vaccini attualmente è più alta perché ha ricevuto l’imprimatur dei grandi rabbini che stanno sollecitando le rispettive comunità a non temere l’iniezione e “a vaccinarsi quanto prima per prevenire un pericolo per sé e per gli altri”, come si legge per esempio nella lettera diffusa dal Rabbino Capo sefardita d’Israele.

“Abbiamo coinvolto anche gli Imam” ci spiega Saif “per esempio chiedendo di inserire nei sermoni della preghiera del venerdì l’importanza della vaccinazione. La cooperazione di tutti i leader della società è ottima, quindi credo che sia solo una questione di tempo prima di vedere un aumento nella domanda di vaccinazione anche tra i cittadini arabi”.

Il ritmo serrato delle vaccinazioni in Israele – 150,000 iniezioni somministrate al giorno – potrebbe portare all’esaurimento delle dosi attualmente a disposizione prima del previsto, con i prossimi rifornimenti di Pfizer in arrivo solo a inizi febbraio, e a un conseguente rallentamento della campagna in corso. “Spero solo che non si convincano quando ormai non saranno rimasti più vaccini a disposizione e allora diranno ‘ecco, lo Stato non ci ha fornito i vaccini’”, ha detto ieri in un’intervista a Ynet il dottor Masad Barhoum, il direttore dell’Ospedale di Nahariya in Galilea, che ha duramente criticato la circolazione di fake news tra la popolazione araba, tra cui una delle più diffuse è che il vaccino possa danneggiare la fertilità. “Tutte sciocchezze” ha affermato Barhoum.

Daka, il sindaco di Baka al Gharbiah, crede che all’origine della bassa adesione alla campagna vaccini vi sia anche la mancanza di fiducia generale dei cittadini arabi israeliani nelle istituzioni. “Si tratta di una fiducia già di base incrinata a causa della gestione fallimentare della piaga che più dilaga nella società araba israeliana, ovvero la criminalità organizzata, perché parlare di ‘violenza’ è ormai riduttivo”. I regolamenti di conti tra famiglie rivali coinvolte in attività criminali di vario genere solo nel 2020 hanno fatto oltre cento vittime, con omicidi avvenuti anche in pieno giorno di fronte a una polizia che non riesce a gestire la situazione.

“In un certo senso, la pandemia ha rappresentato una condizione in cui tutti eravamo uguali, ma presto sono emerse molte delle problematicità che riguardano i cittadini arabi” conclude Saif. “Lo studio a distanza per esempio ha evidenziato il divario in molte comunità rispetto alla qualità della rete internet, o alla disponibilità di adeguate attrezzature tecnologiche. Abbiamo avuto modo di esaminare degli svantaggi su cui c’era meno consapevolezza e spero si creerà ora l’occasione di investire più risorse e riparare”.

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