Che il 7 gennaio l’industria dello sci non sarebbe ripartita era nell’aria da tempo, ma ora c’è l’ufficialità da parte del Comitato tecnico scientifico che in un proprio documento giudica non sufficienti le linee guida proposte dalle funivie e indica due priorità: l’eventuale apertura degli impianti di risalita potrà avvenire solo nelle regioni in “zona gialla” e solo dopo una rivalutazione epidemiologica. E poi – si legge nel documento – oltre alle limitazioni alla portata di seggiovie e funivie bisognerà avere criteri chiari per la vendita (meglio la prenotazione) degli skipass per evitare code e assembramenti all’interno dei comprensori sciistici.
In sostanza una nuova data ancora non c’è (negli ambienti circola comunque un’ipotesi di riapertura per l’inizio di febbraio) e va trovato un accordo sui biglietti. Ma la domanda è: gli operatori dello sci potranno sostenere queste condizioni o decideranno di gettare la spugna e puntare sui ristori? Sul fronte degli impianti di risalita il quadro appare invece più chiaro: 50 per cento di portata sugli impianti chiusi (funivie e telecabine), naturalmente sempre con la mascherina indossata, con la possibilità di arrivare al 100 per cento di portata sugli impianti aperti (seggiovie) ma con l’obbligo di indossare sempre la mascherina e il divieto di abbassare la calotta protettiva montata sulle seggiovie più moderne. Nel caso venisse utilizzata la protezione (ad esempio per le difficili condizioni meteo) allora immediatamente la portata dovrebbe scendere al 50 per cento.
di
Andrea Selva
Tutto questo – si legge nel documento del Cts – perché gli impianti di risalita vengono equiparati ai normali mezzi di trasporto pubblico locale (autobus, eccetera), con alte possibilità che si creino aggregazioni di persone e alto rischio di contagio durante le ore di punta. Ma al di là della portata delle funivie, quello che più preoccupa gli impiantisti sono le prescrizioni sugli skipass che – all’interno di comprensori molto ampi, con decine di possibilità di accesso – saranno molto complesse da mettere in pratica, con grossi limiti anche per la sostenibilità economica dello sci. Lo sci potrà sostenere queste prescrizioni o preferirà, a questo punto, gettare la spugna?
Ora la palla passa all’Anef – l’associazione italiana esercenti impianti a fune – la cui presidente, Valeria Ghezzi, aveva già chiarito la posizione degli impiantisti: “Siamo consapevoli che non sarà possibile aprire il 7 gennaio, vista la situazione sanitaria sul nostro Paese e la pressione sui servizi sanitari, ma per le nostre aziende l’avvio della stagione potrebbe avere senso solamente entro gennaio, o al massimo entro i primi giorni di febbraio, perché per far partire le nostre attività non basta girare una chiavetta e non possiamo metterci in moto e garantire tutte le condizioni di sicurezza per poche settimane soltanto”.
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