LONDRA – “Per tradire bisogna appartenere e io non mi sono mai sentito di appartenere alla Gran Bretagna”. Potrebbe essere questo l’epitaffio sulla tomba di George Blake, l’agente segreto britannico che fece il doppio gioco per dieci anni con l’Urss. La sua morte all’età di 98 anni, annunciata stamane a Mosca dall’Svr, il servizio di spionaggio russo diventato l’erede del Kgb sovietico, chiude in un certo senso il capitolo delle “guerre di spie” che hanno contrassegnato l’era della Guerra Fredda.
Arrestato nel 1961 a Londra e condannato a 42 anni di carcere, uno per ogni 007 inglese da lui tradito e mandato a morire, secondo quanto scrissero i giornali dell’epoca, nel 1966 Blake fu protagonista di un’altra incredibile avventura, riuscendo a evadere dal carcere, attraversare la Manica su un traghetto, nascosto dentro un furgone, passare la cortina di ferro fra le due Germanie e ricongiungersi con i suoi operatori sovietici a Berlino est. Da allora ha sempre vissuto in Russia, dove ha ricevuto le più alte onorificenze nazionali, l’Ordine di Lenin e l’Ordine della Bandiera Rossa.
Con la fuga a Mosca si lasciò alle spalle una moglie, che ottenne il divorzio “in absentia”, e tre figli. Più tardi si era risposato con una cittadina russa da cui ha avuto altri figli, ma in anni recenti aveva potuto ristabilire un contatto anche con i figli dal primo matrimonio. La sua dichiarazione di non sentirsi britannico aveva qualche fondamento: nato in Olanda dove rimase fino ai 13 anni, trascorse il periodo del liceo in Egitto con una zia dopo la morte del padre, un ebreo sefardita naturalizzato britannico, e soltanto con l’iscrizione all’università di Cambridge iniziò a vivere in Inghilterra.
Dopo avere partecipato alla Seconda guerra mondiale entrò nel servizio diplomatico e, anche grazie alla conoscenza delle lingue, tra cui il russo, venne presto arruolato dall’Mi6, il servizio di spionaggio del Regno Unito. Nella sua autobiografia, scritta dopo la defezione in Unione Sovietica, raccontò di essere diventato comunista durante la guerra di Corea, quando catturato dai nord-coreani assistette ai bombardamenti americani di villaggi di poveri contadini. Fu allora che il Kgb sovietico, venuto a conoscenza che una spia inglese era prigioniera dei nord-coreani, lo contattò e stabilì con lui una fruttuosa collaborazione.
Rilasciato e accolto in patria come un eroe, Blake ha continuato a lavorare per l’Mi6, fornendo clandestinamente informazioni ai russi. Forse gli agenti da lui rivelati a Mosca non furono 42 come gli anni della sua sentenza, ma sono stati certamente numerosi. Tra l’altro segnalò ai russi l’esistenza di una talpa nelle loro file, un agente che faceva il doppio gioco per la Cia, e aiutò la Stasi a scoprire un tunnel sotto il muro di Berlino. Per quanto il Kgb cercasse di proteggerlo, l’Mi6 iniziò ad avere sospetti, lo richiamò da una missione in Libano e lo arrestò. Sorprendentemente, nel corso dell’interrogatorio Blake rese una piena confessione, ammettendo di fare il doppio gioco per i sovietici.
Dopo la rocambolesca fuga dalla prigione londinese di Wormwwod Scrubs, riuscita grazie a due complici dietro le sbarre, quando aveva 39 anni, in Urss ha preso la cittadinanza sovietica e ha continuato a lavorare per il Kgb. Raggiunta l’età della pensione, il governo russo gli ha conferito una dacia alle porte della capitale, dove ha vissuto fino alla morte con la moglie. A Mosca frequentava due delle altre famose spie inglesi che fecero il doppio gioco per i sovietici, Kim Philby e Donald Maclean, anch’essi fuggiti oltre cortina dopo essere stati scoperti, ma non faceva parte dei cosiddetti “Cambridge Five”, i cinque studenti della prestigiosa università passati nelle file del comunismo. E a differenza di Philby e Maclean, aggiungono i suoi biografi, in Russia non si perse nell’alcolismo, riuscendo ad avere un’esistenza abbastanza normale e, per quanto se ne sa, felice.
Soffriva per il crollo del comunismo, a cui era rimasto sempre fedele, ma diceva: “Ormai sono quasi cieco e non vedo quello che può rattristarmi”. Come Philby e gli altri di Cambridge, anche la sua vicenda ha ispirato numerosi film e romanzi. Se davvero George Blake non si sentisse di “appartenere alla Gran Bretagna”, rimane un mistero: era lui a sostenerlo pubblicamente, ma una spia – come è noto – non dice mai fino in fondo la verità. Talvolta neanche a se stesso.
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