Fa il pubblico ministero e, a vederla, sembra un mite coniglietto. Ma le piacciono i gatti, e, come loro, quando serve, è capace di tirare fuori gli artigli. Non a botta calda – rifiuta interviste cotte e mangiate – e preferisce riflessioni meditate che le costano giorni di sofferenza e di riscritture. Mariarosaria Guglielmi è fatta così. E da quando è segretaria di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, le toghe "rosse" per intenderci, non ha mai cambiato atteggiamento. Ci può essere la tempesta mediatica intorno a lei, ma lei risponderà garbata "ci devo riflettere".
E ha fatto così anche questa volta. Di fronte a 27 colleghi che, con una missiva, hanno deciso di abbandonare il gruppo storico e più antico dei giudici. Loro se ne vanno da Md tra il 20 e 21 dicembre. La loro lettera diventa pubblica. Firmata da 25 magistrati, a cui ne vanno aggiunti altri due del Csm, che hanno seguito qualche giorno prima la stessa strada. Accuse pesanti, in una parola di una gestione chiusa e autoreferenziale. Quelli che se ne vanno da Md sono iscritti anche ad Area, corrente anch'essa di sinistra, ma cominciata a nascere nel 2013, mentre le origini di Md affondano negli anni Sessanta del secolo scorso, con la presenza al suo interno non solo di Md, ma anche del Movimento per la giustizia, il gruppo in cui figura come iscritto Armando Spataro. Area nasce come cartello elettorale, è scontata la doppia iscrizione, da una parte ad Area, dall'altra alle correnti originarie. Ma poi la stessa Area si struttura fino a diventare una corrente, e gli "aeristi" mal sopportano quella che considerato la puzza sotto al naso di Md, gruppo coerente con le sue origini, poco incline ai compromessi. Lo scontro è inevitabile. Alla richiesta di "chiudere" Md, già due fa, loro rispondono "niet". La tensione sale fino all'addio dei 27.
Magistratura, la sinistra delle toghe si divide. Area sbatte la porta in faccia a MD
di
Liana Milella
E siamo a oggi. Guglielmi trascorre Natale e vigilia a rispondere e a limare la sua lettera. Recapitata il giorno di santo Stefano. Oggi la sua nota è pubblica. Amara. Anche aggressiva. A cominciare dal titolo "le ragioni di Md". E come quando scrive che "non conta solo perché si va via, conta anche come si sceglie di farlo". E secondo lei chi è andato via ha sbagliato forme e toni. A cominciare dai due componenti del Csm, Giuseppe Cascini, ex pm di Roma, e Giovanni "Ciccio" Zaccaro, giudice a Bari, che – scrive Guglielmi – avrebbero "comunicato la richiesta al ministero della Giustizia di 'revoca della trattenuta sullo stipendio', il che ha un oggettivo significato politico, è il disconoscimento del gruppo come comunità politica, la rottura di ogni dialogo con le persone con le quali si è condiviso un percorso e alla quali nessuna spiegazione è dovuta".
Se il buongiorno si vede dal mattino, l'incipit di Guglielmi non promette niente di buono per chi ha deciso di sbattere la porta di Md. Perché "la comunicazione burocratica in luogo del confronto sulle ragioni di questo passo lascia senza risposte compagni di strada interessati a comprendere che ne è stato del progetto comune intorno al quale si sono aggregate idee, persone, energie, e il comune consenso che non è mai mancato nel momento delle elezioni". Anche se, all'opposto, "eravamo partiti con la promessa di rivitalizzare il legame e il senso politico della rappresentanza, all'insegna del dovere di rendere conto".
Non è andata così, a quanto pare. Perché, a parte Cascini e Zaccaro, anche gli altri ormai ex amici, che invece hanno scritto la lettera interna – tra cui il segretario di Area Eugenio Albamonte e l'ex presidente dell'Anm Luca Poniz, nonché una figura storica comune quella di Anna Canepa – avrebbero tenuto, secondo Guglielmi, un comportamento "egualmente unilaterale". Avrebbero fatto solo una "comunicazione". Non hanno "sentito il bisogno di portare le loro ragioni nei luoghi di dibattito collettivo del gruppo". E in questo passaggio – a leggerlo da fuori – c'è tutta la storia di Md, toghe protagoniste di dibattiti ideologici infiniti sulla giurisdizione. Tant'è che proprio Md per anni ha pubblicato su carta la rivista Questione giustizia, che oggi invece esce online. È basta scorrere l'indice per comprendere subito chi sono le toghe rosse, intellettuali oltre che giudici, fini giuristi capaci di discussioni infinite su una parola, esegeti dei testi, insomma dei "professori" della giustizia. E – diciamocelo – questa caratura intellettuale infastidisce gli altri colleghi.
L'accusa di Guglielmi si fa stringente: "Chi oggi lascia, ricoprendo ruoli di rappresentanza nella dirigenza di Area, in Anm, al Csm e nei consigli giudiziari, anche in nome e per conto di Md, non ha trovato il momento e il luogo dove confrontarsi con gli iscritti a Md sulle ragioni della fuoriuscita?". Il leit motiv è questo, prima di andarvene dovevate confrontarvi con tutti gli altri e spiegare il perché. Anche perché chi sta al vertice è stato eletto anche da noi. Come Albamonte, come Poniz.
A leggere i passaggi seguenti si capisce che chi ha lasciato sarebbe stato "assente da tempo" dal confronto collettivo. Non solo, chi è andato via non avrebbe volutamente aspettato il prossimo congresso di Md, che si sarebbe dovuto tenere a gennaio, ma causa Covid slitterà in avanti. Insomma, un dissenso non espresso, un "abbandono unilaterale" che, secondo Guglielmi, "è in linea con la scelta di tenere posizioni di dissenso non espresso (e certo non soffocato)", come sarebbe accaduto negli ultimi congressi, in cui i dissidenti di oggi non hanno proposto candidature o mozioni alternative a quelle del gruppo che oggi dirige Md, oltre a "Maro" Guglielmi, il presidente Riccardo De Vito, giudice di sorveglianza a Sassari e protagonista dello scontro con i vertici del Dap per il caso Zagaria. In cui De Vito ha tradotto in una decisione la sua convinzione che un giudice deve tutelare la salute del detenuto. Zagaria, noto boss camorrista, ha un tumore grave. Il Dap non fornisce un posto in ospedale. De Vito lo scarcera e lo manda ai domiciliari dove può curarsi. Poi, quando il Guardasigilli Alfonso Bonafede fa un decreto per obbligare i giudici a verificare l'attualità dei domiciliari, lui ricorre alla Consulta ma perde. Perché nella verifica non c'è violazione dell'autonomia del magistrato.
Ma torniamo a Md e a quella che Guglielmi considera la "brutalità" dell'abbandono dei 27 colleghi. Scrive Gugliemi: "Non si propone un'alternativa, non si indicano strade diverse nella direzione che si ritiene giusta, ma si decide l'abbandono. Si va via bruciando i ponti, senza possibilità di ripensamenti e chiudendo definitivamente le vie del dialogo. Non si prova a cambiare la nobile storia di Md, ma si tenta di rottamare il gruppo che ne è l'erede. Non ci si limita a interrompere un percorso individuale, ma si mette in mora chi resta". Insomma, in quel documento dei 27 che si intitola "Il tempo delle scelte" Guglielmi vede solo che "il dado è tratto, la strada è segnata e si sollecita a dichiarare da che parte si sta, se dalla parte di chi resta o dalla parte di chi va via". Un'addio senza ritorno, una porta chiusa definitivamente.
E lei reagisce in puro stile Gugliemi: "Cari amici, non importa oggi fare la conta di quanti vi seguiranno né di quanti resteranno, per me, per la dirigenza e per tutto il gruppo ogni abbandono, fosse stato anche uno solo, è motivo di grande sofferenza, anche personale, per il ruolo unitario che ho cercato ostinatamente di portare avanti. E non importa che sia io, ora e qui, a riproporre le mie ragioni per confutare l'immagine di questa Md di oggi, ramo secco, luogo escludente, autoreferenziale e proteso ad una narrazione costantemente autoassolutoria degli eventi".
Ovviamente Guglielmi la pensa in tutt'altro modo, vede una Md che "continua a essere un luogo di aggregazione di persone e un soggetto collettivo che, nonostante l'involuzione, con la chiusura nel proprio recinto di Area, ha continuato a sostenere il progetto unitario della magistratura progressista e le persone chiamate ad attuarlo nelle competizioni elettorali". La convinzione di Guglielmi è che le scelte fatte da Area siano "pericolose perché rischiano di essere distruttive e di dividere il fronte della magistratura progressista creando una frattura insanabile al suo interno". Lei le definisce "scelte di disconoscimento, dirette a pregiudicare la prospettiva di una magistratura progressista plurale ma unita sui valori". Per questo Md va avanti come "forza di aggregazione e di unità per tutti i magistrati progressisti". Una fida insomma che, a questo punto, si giocherà anche all'interno del Csm e dell'Anm.
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