Il curriculum impressiona quasi sempre, con decine di corsi seguiti, esperienze nei saloni più noti e competenze collezionate in 25 anni lavoro. Ma, ogni volta, arriva un momento del colloquio in cui la possibilità di lavoro per Maria sfuma. “Succede quando mi presento al salone per una prova o semplicemente vado per un incontro. Credo che a chi mi caccia non piaccia quello che vede”, dice la hair stylist e make up artist.
Maria è una transessuale, ha iniziato il suo percorso di transizione cinque anni fa, quando era ancora in Brasile. “Lì era diverso, non ho mai fatto mistero delle mie scelte, sono stata accompagnata nel mio percorso. Quando sono arrivata a Torino ero semplicemente una donna con il mio nome di oggi anche sui documenti. Non pensavo di dover dare ancora delle spiegazioni – racconta – La cosa più triste è che tutto questo è stata una scelta importante per me ma non rappresenta tutto quello che sono e che posso fare. Ora lo considero un piccolo dettaglio della mia vita, non quello che mi definisce in tutto e per tutto. Eppure resta un problema”.
Maria si è trasferita a Torino dopo il matrimonio, un anno fa con suo marito, un torinese, lo ha fatto per amore. In Brasile ha lasciato un lavoro che amava, che l’aveva fatta conoscere nel mondo dello spettacolo e dei vip. Per 15 anni ha gestito un salone di bellezza tutto suo a Belo Horizonte: “Era il numero uno della città”, racconta.
E’ troppo presto pensare di aprire un salone in proprio anche a Torino: “Bisogna essersi fatti un nome prima, per poter sfondare – racconta – Non sono ancora pronta a fare questo passo”. Per questo da un anno cerca lavoro in un salone o un centro di bellezza. E’ arrivata a un passo dal trovarlo almeno un paio di volte. “Qualche mese fa a Milano ero stata chiamata per una prova, ho lavorato quasi tutto il giorno e stavo andando benissimo. Nessuno mi ha fatto domande, ma poi, nel pomeriggio, è arrivato il titolare. E’ rimasto un po’ al salone e quando ha capito che non ho sempre avuto l’aspetto di una donna mi ha messo alla porta senza complimenti”. A Torino non è andata meglio. Nonostante la pandemia Maria ha continuato a cercare lavoro in questi mesi. “Ho mandato decine di curriculum – ricorda – Mi ha richiamato la titolare di un negozio e quando sono arrivata per il colloquio mi ha accolto con una copia del mio curriculum in mano. Mi ha chiesto se ero la stessa persona del curriculum e quando ho risposto di sì, mi ha sbattuto la porta in faccia. C’era mio marito con me, ma sono sicura che se non l’avesse visto con i suoi occhi non mi avrebbe mai creduto”.
Maria nell’ultimo anno è tornata anche in Brasile: “Sono tornata per un mese e non ho smesso un secondo di lavorare, anzi non sono riuscita a prendere tutti gli appuntamenti che mi venivano chiesti. E’ stato come se non fossi mai partita” A Torino la situazione è molto diversa: “Questo atteggiamento discriminatorio mi fa stare male – dice – So che non è un problema mio ma soltanto di chi mi caccia, però è un problema che influisce sulla mia attività professionale, che non mi lascia fare quello per cui ho studiato tanto e che è il mestiere che adoro, non mi permette di andare avanti con la mia vita”. Maria non ha intenzione di arrendersi. “Continuerò a cercare e lottare – dice – E non ho fatto questo sfogo per suscitare pietà. Non voglio che qualcuno mi assuma come se facessi parte di una categoria protetta, voglio lavorare perché sono brava e merito di farlo e non è giusto che il mio aspetto o le mie scelte condizionino la mia professione”.
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