Non ci sarà il vaccino per tutti. Bisogna produrre miliardi di dosi se si vuole proteggere la popolazione del Pianeta. Le multinazionali che hanno messo a punto il siero che ci proteggerà dal Covid sono in grado di farlo. Almeno per il ceppo storico, al di là delle tante varianti che acquisterà nel tempo. Ma non tutti i Paesi possono acquistarlo. È un problema di prezzi. Pfizer-BionTech, Moderna, Oxford-Astrazeneca, anche il Gamaleya Reaserch Institute, il laboratorio russo che ha studiato e prodotto il viaccino tusso Sputnik V, non sono benefattori. Astrazeneca ha già fatto sapere che il suo vaccino sarà venduto a un prezzo popolare nei Paesi in via di sviluppo, poco più di due dollari; ma gli altri, sia la Pfizer statunitense sia la russa Gamaleya hanno detto che non se ne parla.
Così, nella gara spasmodica verso la vaccinazione di massa, c’è chi punta dritto al traguardo e chi invece è costretto a rallentare e fare due conti. Ci sono almeno 189 Paesi che si sono rivolti all’Oms chiedendo aiuto. L’Organizzazione mondiale garantisce la salute a tutti. Lo dice il suo statuto, lo impone il suo valore morale e civile. E questo grazie al contributo che tutti gli Stati forniscono in proporzione alla loro ricchezza. Il segretario generale Tedros Adhavom Ghebreyesus sin dal marzo scorso aveva assicurato che i vaccini sarebbero stati distribuiti in modo equo. Per questo aveva promosso la creazione di un fondo, il Covax: servirà a unire in un blocco solo i Paesi a medio e basso reddito, in modo che possano negoziare insieme con i produttori di vaccini e a fornire i soldi per assicurare la vaccinazione anche a chi non li ha.
Facile a dirsi, più complicato a farsi. Perché il Covid ha ucciso le economie del mondo, ha provocato crisi, cali di produzione, aumentato debiti, costretto i governi a prosciugare le riserve per sostenere chi ha perso il lavoro e le industrie con il fatturato ridotto all’osso. Sorretta da alcuni organismi finanziari internazionali, come la Banca Mondiale e il Fmi, e da fondazioni private, come quella di Bill e Melinda Gates, il 4 giugno scorso è stata rilanciata la Gavi Alliance, l’Alleanza Mondiale per i vaccini e l’immunizzazione. Era sorta nel 2000 quando i vaccini avevano cominciato a scarseggiare e quasi 30 milioni di bambini non venivano protetti completamente. L’irruzione del devastante Covid ha rimesso in moto questa alleanza.
I promotori hanno subito capito che la pandemia del 2020 rischia di creare una nuova forma di apartheid: da un lato i Paesi ricchi, feriti ma ancora in grado di risollevarsi; dall’altro quelli che avevano già poco e che ora non hanno più nulla. I primi hanno già acquistato le loro milioni di dosi e si preparano a lanciare il Vday; i secondi sono ancora alla ricerca delle scorte ma già sanno che dovranno attendere. Bene che vada inizieranno a vaccinare nei primi mesi del 2021. Solo una parte della popolazione, la più ricca, quella disposta a pagare.
Secondo l’Oms occorrono subito 4,3 miliardi di dollari: serviranno a proteggere gli uomini e le donne in prima fila, gli operatori sanitari impegnati a salvare vite negli ospedali, più esposti ai contagi. Briciole rispetto ai 23,8 miliardi che occorreranno nel 2021. Andrea Taylor, ricercatore virale presso la Duke University, nel North Carolina, qualche giorno fa spiegava alla Bbc: “Il grande investimento su Covax è dovuto anche dalla certezza che la domanda delle dosi di vaccino supera di gran lunga l’offerta. E pochi di quelli che chiedono sono in grado di pagare”.
La lista è lunga. Ci sono il Pakistan e lo Zimbabwe ma anche il Messico. Per non parlare, se stiamo solo in America Centrale, di Paesi come l’Honduras o il Salvador. Dei 189 che si sono rivolti al progetto Covax, 92 hanno redditi medi e bassi. Le dosi che riceveranno all’inizio del prossimo anno saranno fornite grazie all'aiuto di Paesi e fondazioni: la Gran Bretagna ha stanziato 500 milioni di sterline, Usa e Russia si sono invece sfilate. Covax ha raggiunto un accordo con tre delle cinque multinazionali ma finora sono state coperte le spese solo per il 20 per cento della popolazione di ogni Paese richiedente.
I prossimi mesi saranno cruciali. Un quarto accordo è stato sottoscritto la settimana scorsa: riguarda due miliardi di dosi ma si tratta di vaccini di “seconda generazione”, quelli ancora in fase di studio. Non saranno pronti prima di quattro-cinque mesi, se avranno superato gli esami di verifica. Il panico che comincia a serpeggiare in molti Paesi provoca corse all’accaparramento e rigide selezioni che sconfinano con la xenofobia: a restare fuori, spesso, sono i migranti, che non sono registrati regolarmente e a volte non hanno neanche i documenti di identità.
L’ultimo esempio arriva dalla Colombia: il presidente Iván Duque ha escluso dalla vaccinazione i 950mila venezuelani presenti da tre anni nel Paese. La sua decisione ha sollevato un vespaio di polemiche. Ma Duque è stato irremovibile: “Abbiamo delle priorità e tra queste vi sono i cittadini colombiani”. Sono state ordinate 40 milioni di dosi per 49,6 milioni di abitanti. Dieci passeranno il turno. I venezuelani possono aspettare.
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