Da una decina d'anni, Gianmarco Tognazzi afferma che fare l'attore è per lui un hobby, che il suo vero lavoro è quello di viticoltore. Dei quattro figli di Ugo, è lui quello che ha rilevato l'azienda enogastronomica "La Tognazza" a Velletri, inizialmente una specie di orto biologico e a chilometro zero ante litteram che serviva soprattutto a procurare la materia prima per le imprese culinarie del padre di Gianmarco (e di Ricky, Thomas, Maria Sole), oggi un'azienda vinicola a tutti gli effetti. Ma il mestiere di famiglia molto spesso lo riacciuffa. Quando i cinema riapriranno lo si rivedrà in Ritorno al crimine, sequel della fortunata commedia Non ci resta che il crimine (una data precisa ancora non c'è), mentre su Sky è atteso nel corso del 2021, nel ruolo dell'ex allenatore della Roma Luciano Spalletti nella serie su Francesco Totti, intitolata Speravo de morì prima. La regia è di Luca Ribuoli, nel ruolo dell'ex capitano della Roma c'è Pietro Castellitto, in quello di Ilary Blasi, moglie di Totti, Greta Scarano.
Il rapporto tra Totti e Spalletti è una specie di telenovela: prima un grande amore e poi lo scontro. La serie ne parlerà?
"Certo. È la storia di un grande campione, un idolo dentro e fuori dal campo e delle sue contraddizioni. La narrazione va oltre il racconto delle gesta sportive, prova a raccontare il tema dell'identità. Totti è ancora oggi la bandiera di un'intera città. E lo dico da sfegatato milanista".
Milanista come suo padre Ugo. Nel libro che ha scritto insieme ai suoi fratelli (Ugo. La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio RaiLibri), suo fratello Ricky dice che con lei non si può parlare di calcio perché si finisce a litigare. È vero?
"È vero che sono un grande tifoso, approfondisco nel dettaglio tutto quello che riguarda il calcio, mentre Ricky sa le cose un po' sprazzi, è meno coinvolto. Per me il calcio è una cosa seria".
Se c'è qualcuno che prende il calcio sul serio è proprio il verboso Luciano Spalletti.
"Sono un po' prolisso anch'io, nel parlare, quindi lo capisco e in questo forse ci somigliamo. E poi, nella folta capigliatura (ride, ndr)".
Ha incontrato Spalletti per prepararsi al ruolo?
"No, quello che ho cercato di fare è stato attenermi al copione. E poi non volevo farne un'imitazione. Mi sono limitato a qualche tratto davvero necessario: la toscanità, il modo di camminare. Non ho nemmeno avuto bisogno di stare a rivedere tutte le sue interviste perché me le ricordavo. Penso sia un eccellente allenatore e mi ha sempre fatto simpatia".
Dieci anni fa sua sorella Maria Sole ha realizzato un documentario su vostro padre, nel frattempo Ricky ha seguito il premio Tognazzi a Cremona e lei ha aperto il sito ufficiale www.ugotognazzi.it. Quest'anno avete anche scritto il libro, insieme al fratello norvegese Thomas. Ugo ripeteva spesso "vedrete che nessun si ricorderà di me". Non è andata cosi, per fortuna.
"Quest'anno era il trentennale della sua morte, si sono fatte molte cose. Credo che inizialmente dicesse che sarebbe stato dimenticato un po' per scherzo e un po' per scaramanzia, ma poi, a un certo punto, nel periodo in cui era depresso, lo pensava davvero. Non capivo, al tempo, le ragioni della sua depressione, mi sembrava ingiustificata. Le ho capite solo molto dopo, quando lui non c'era più. Nell'idea che sarebbe stato dimenticato, Ugo non solo ridimensionava tutto quello che aveva fatto nella sua carriera ma nascondeva una preoccupazione maggiore: quella di vivere in un Paese che stava diventando sempre più smemorato, sempre più incapace di tramandare il sapere".
Potendo riparare, lei, tornando al 1989, rifarebbe quel Sanremo, condotto con gli altri tre figli d'arte, tanto criticato?
"Assolutamente sì. Anche perché c'è chi ha fatto Sanremo peggiori di quello. Però, certo, in Italia, 'figlio d'artè è una parolaccia. Io, invece, penso che in mezzo a questo andazzo in cui chiunque, ma proprio chiunque può fare l'attore, noi poveri figli d'arte andremmo un minimo rivalutati".
Suo padre non voleva che lei presentasse Sanremo, in generale che facesse la televisione.
"Fu un periodo di grandissimi scontri. L'affaire Sanremo scoppiò un po' a mia insaputa, a seguito di un equivoco. Era andata così: stavo a letto con il ginocchio ingessato che mi ero rotto giocando a calcio e sul giornale leggo che presenterò il festival. Peccato che, nel frattempo avrei dovuto fare il film di Pupi Avati, Storia di ragazzi e ragazze, lavoro che mi aveva procurato mio padre e a cui teneva moltissimo. Mi sego il gesso, vado in Rai, mi dicono che con Avati non c'è problema perché lo producono loro. Io accetto Sanremo. Ero in buona fede ma mio padre non lo capì e si infuriò. Eppure, quel Sanremo, e la popolarità assurda che ne seguì, mi fece riflettere e cambiare strada. Cominciai a fare teatro e, una sera, Ugo venne a vedermi. Alla fine, urlò 'bravi', un urlo liberatorio che poi diede il via alla nostra riconciliazione. Purtroppo breve, perché lui se n'è andato troppo presto".
Ugo ha avuto quattro figli da tre donne diverse e di tre nazionalità diverse. Voi fratelli siete uniti e lo siete rimasti anche dopo la sua morte.
"Potere della genetica. Dovrebbe vedere i figli di Thomas, nati in Norvegia da madre norvegese: hanno gli occhi dei Tognazzi. E poi c'è il potere di Ugo, del modo in cui Ugo ci ha fatto vivere la nostra infanzia. Non ci sono distanze geografiche o diverse intensità di frequentazione che contino: esiste l'appartenenza alla famiglia. Nonostante i suoi molti difetti, era un uomo trasparente, disponibile. Suscitava empatia in tutti".
Una delle passioni di Ugo era cucinare per gli amici. Vale anche per voi figli?
"Io sono dotato ma non mi applico. È Ricky quello che ha ereditato la vocazione e cucina meglio di tutti noi. Io, però, mi intendo di materie prime. Maria Sole è una grandissima esperta di ristoranti. Quando Thomas viene in Italia, mangia insieme a noi. Adesso è pure diventato vegano. Non oso pensare che cosa ne direbbe Ugo".
Sul Venerdì del 24 dicembre 2020
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