Il famoso regista cubano Fernando Pérez non è certo un gusano, un anticastrista di Miami. Né lo è l'attore Jorge Perugorría, protagonista di Fresa y Chocolate. Eppure c'erano anche loro la sera del 27 novembre davanti al Ministero della Cultura dell'Avana. Erano accorsi per dare il proprio appoggio alle centinaia di giovani artisti che si erano riuniti in solidarietà con i ragazzi del Movimiento San Isidro: sloggiati con la forza mentre facevano lo sciopero della fame o della sete contro la condanna a otto mesi, in un processo-lampo, del rapper Denis Solís, anche lui del Movimiento. Grazie a un tam-tam via internet, si sono presentati quasi quattrocento giovani artisti e intellettuali, alcuni molto noti. Per tutta la giornata hanno applaudito e cantato finché è arrivato Pérez, che ha convinto il viceministro Fernando Rojas a riceverli. Ed ecco che quello non solo ha aperto le porte a trenta di loro, ma li ha ascoltati fino alle due del mattino, ha preso nota delle richieste e si è impegnato a continuare il dialogo.
E anche se il sequel dell'incontro non ha dato gli esiti sperati, resta che quella conquista ha segnato una rottura col passato e il nome 27N, 27 novembre, è entrato nel linguaggio. Non solo infatti le proteste a Cuba sono di fatto vietate, ma quello sgombero di una casa dove si svolgeva una protesta pacifica è stata l'occasione per mettere sul piatto una serie di richieste: libertà di espressione e fine della repressione di chi dissente, e in generale "il diritto di avere diritti". La vecchia regola stabilita da Castro nel 1961 per cui Dentro de la Revolución todo, contra la revolución nada è ancora l'unico parametro per decidere cosa sia permesso e perché molti siti critici vengano oscurati, interrotte le linee, seguiti gli artisti in odore di dissidenza. Gli arresti degli oppositori sono calati con gli anni, ma Human Rights Watch riporta nei primi otto mesi del 2019 circa 1.800 denunce di detenzioni arbitrarie, oltre a ritorsioni come restrizioni nei viaggi, licenziamenti e qualche atto di violenza.
La goccia fu il Decreto 349 del 2018, che vietava la professione artistica a chi non fosse iscritto ad associazioni statali e istituiva un ispettore per controllare la sintonia delle opere con la rivoluzione. E proprio per reazione a quel provvedimento era nato il Movimiento San Isidro: quattordici giovani artisti e accademici che in un appartamento dello scalcinato quartiere San Isidro in cui sono nati, a La Habana Vieja, fondano una postazione di pacifica protesta. Subito dopo lo sgombero del 27 novembre circa 600 intellettuali hanno mandato una lettera contro gli abusi della polizia, e manifestazioni di cubani si sono tenute in molte città, come Barcellona. È arrivata la solidarietà anche dell'Europarlamento, di Amnesty (ha denunciato che una decina di attivisti sono soggetti a sorveglianza continua e non possono lasciare le proprie case) e perfino della Conferencia de Obispos Católicos de Cuba.
Eppure, se al Movimiento molti sono grati per aver fatto da detonatore al malcontento, parecchi non si identificano affatto nelle sue richieste. Troppo estreme le posizioni di alcuni membri. Il rapper Denis Solís, per esempio, ha dichiarato che Trump è il suo presidente (e occorre un grosso sforzo per considerarla un'opinione neutra viste le misure con cui il tycoon ha contribuito ad affossare l'isola). Maykel Osorbo è invece contrario a ogni dialogo e insulta sui social quei "ladri dei colletti bianchi". Ci sono poi le performance del 33enne Luis Manuel Otero Alcántara, troppo provocatorie – anche se una di queste è finita al Centre Pompidou e in patria il suo virtuale Museo de la Disidencia ha riscosso interesse: lo hanno arrestato tante di quelle volte che ha perso il conto (per esempio perché è andato in giro per un mese indossando una bandiera cubana). "In realtà all'interno del Movimiento c'è di tutto" ci spiega la 27enne scrittrice Katherine Bisquet, che ne fa parte e ha partecipato allo sciopero. "Persone di destra e sinistra e altri che come me non appartengono a nessuno schieramento".
Subito dopo la manifestazione del 27 novembre, la tv di Stato ha trasmesso un programma in cui screditava gli attivisti del Movimiento accusandoli di essere mercenari, e alcuni di loro sono da diversi giorni agli arresti domiciliari. "È il solito sistema" si lamenta il 22enne Mauricio Mendoza, collaboratore di media indipendenti e tra i partecipanti all'incontro. "Danno del prezzolato a chi dissente e lo fanno passare per un traditore". Ci sono stati perfino actos de repudio, una pratica che sembrava scomparsa: sotto la casa di Iliana Hernández hanno sfilato una cinquantina di persone urlando "Mercenaria!". E nel frattempo Solís è stato sconfessato dall'Agencia Cubana de Rap, mentre il governo assicura di avere le prove dei suoi contatti con "terroristi" in Florida.
Insomma è vero, c'è un po' di tutto nella galassia critica dei giovani cubani. "Ma ne conosco pochi che non siano a favore del cambiamento" ci dice Carlos Álvarez, 31enne autore di Cadere, pubblicato in Italia da Sur e caso letterario internazionale. Era a New York quando ha saputo dello sciopero. Ha preso il primo volo e si è precipitato nell'appartamento in calle Damas dove è rimasto fino all'irruzione della polizia, che ha raccontato con parole commoventi su El País. E ha descritto anche quel barrio San Isidro la cui coscienza storica è introiettata dagli abitanti, che si sentono "come cimarrones", neri e poveri nelle loro case precarie. Benché critico con il governo e definito dalla tv un nemico del popolo, non è certo un "controrivoluzionario".
"Sono per un processo democratico il cui obiettivo sia una società progressista, inclusiva e libertaria", ci dice. "È triste constatare che per molti cubani l'alternativa alla dittatura sia il libero mercato: un modello superato e che ha mostrato molte falle". Anche la vulcanica Tania Bruguera, che si definisce "di sinistra", è vicina al Movimiento. Artista plastica che ha esposto alla Tate, è delusa dal governo che ha "tradito" le promesse fatte il 27 novembre. Il 3 dicembre il Movimiento ha infatti inviato una email in cui dettava condizioni perentorie ma il governo ha chiuso il dialogo, o meglio l'ha riaperto con interlocutori di sua scelta, che non si fossero compromessi "con i nemici di Cuba".
C'è un po' di tutto e anche tanta confusione sotto il cielo dell'Avana. Ingenuità, contrasti, appelli a restare uniti. Un artista visuale che preferisce restare anonimo ritiene che l'isola stia vivendo il processo più rivoluzionario dai primi anni della rivoluzione: "La nostra generazione crede nella pluralità e nel dialogo. Questa settimana abbiamo incontrato le principali autorità della mia provincia. Sono rimasti senza risposta, non erano preparati. Ma hanno dovuto ascoltare, ed è un primo passo".
La ribellione cade in un momento che definire critico è eufemistico. Tra le manovre di Trump e il Covid, l'economia è crollata, il Pil è sceso di 8 punti. Per incassare valuta straniera il governo ha aperto tiendas in cui si paga in dollari. E a gennaio partirà la riforma sul cambio unico al posto del doppio cambio che passa per il peso convertibile. Il presidente Miguel Díaz-Canel aveva un'espressione funerea quando l'ha annunciata. "Sul breve termine ci sarà un gran incremento dell'inflazione e della disoccupazione", ci spiega l'economista Carmelo Mesa-Lago, dell'Università di Pittsburgh. "Nel lungo termine, però, se le politiche saranno implementate correttamente, la riforma darà effetti positivi". Molte le speranze riposte in Biden. Che annulli le misure di Trump e riprenda il dialogo. Al nuovo presidente americano basta un provvedimento per ripristinare le misure obamiane ma gli occorre la maggioranza al Senato per ulteriori passi. In quel contesto meno cupo anche la battaglia dei giovani artisti potrebbe farsi più facile.
Sul Venerdì del 24 dicembre 2020
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