Tel Aviv – È scattato il conto alla rovescia per le nuove elezioni in Israele, le quarte in meno di due anni, annunciate per il 23 marzo con lo scioglimento automatico del parlamento causa mancata approvazione della legge di bilancio. Il governo di unità nazionale fra il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Benny Gantz, nato poco più di sette mesi fa all'insegna della "pacificazione" tra le fazioni rivali dopo ben tre round elettorali che si erano risolti in un nulla di fatto, ha fallito in ogni suo proposito.
L'emergenza pandemica, con un terzo lockdown in vista, la crisi economica che ne è derivata, lo stato di allerta rispetto al programma nucleare iraniano e alla tensione sul confine libanese-siriano, ma nemmeno le nuove alleanze con quattro Paesi arabi a seguito degli Accordi di Abramo, nulla è servito ad attenuare la rivalità viscerale e il clima di diffidenza tra gli alleati di governo. Le accuse reciproche non fanno presagire nulla di buono per i tre mesi di campagna elettorale.
Netanyahu e i suoi alleati – che al nomento si riducono ai partiti religiosi che insieme portano intorno ai 15 mandati – subito dopo il voto sullo scioglimento accusavano Gantz di aver agito da subito come "un'opposizione all'interno del governo". Blu e Bianco, il partito di Gantz che dai sondaggi pare sfiorerà appena la soglia di sbarramento, ha attaccato il premier per aver "trascinato il Paese a nuove elezioni, senza un budget, per mere considerazioni personali".
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di
Maurizio Molinari
Non c'è dubbio che al centro della prossima campagna elettorale vi sarà il futuro di Benjamin Netanyhau, e non solo politico: a gennaio si avvierà la fase dibattimentale del processo che vede imputato il premier in carica per frode, abuso di potere e corruzione. L'ostinazione di Netanyahu negli ultimi sette mesi a non fare passare una legge di bilancio biennale era volta a lasciare aperta una finestra per fare cadere il governo nel 2021, evitando di lasciare la guida a Gantz con la rotazione prevista per novembre e tornando alle urne in un momento più propizio, quando la campagna vaccinazione anti-Covid avviata pochi giorni fa avrebbe già reso effettivi i suoi frutti.
Invece ora Netanyhau, anche se nei sondaggi il Likud viene ancora dato come primo partito con 29 seggi, si trova di fronte a una sfida che non si era mai presentata negli ultimi 11 anni in cui è riuscito a consolidare il proprio potere indiscusso: due partiti a destra rischiano di minare la sua tenuta. Yemina, dell'ex ministro Naftali Bennett e soprattutto la neonata formazione di Gideon Saar, Nuova Speranza, fuoriuscito dal Likud il mese scorso e che i sondaggi danno a 20 seggi.
Solamente Bennett al momento sta mantenendo una posizione pragmatica che non escluderebbe una possibile coalizione con Netanyhau, mentre tutti gli altri candidati concorrono all'insegna del "tutto tranne Bibi". È evidente però che, se i risultati confermeranno lo stallo che è uscito dalle urne nelle scorse tre tornate elettorali, l'arte del compromesso avrà il sopravvento, come successo con Gantz a maggio.
Netanyahu ha già dispiegato i messaggi su cui si baserà la sua campagna elettorale: il successo della campagna vaccinazione e degli Accordi di Abramo – per i quali spera di poter annunciare un altro nuovo Paese nelle prossime settimane, che si aggiungerebbe a Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Sul fronte interno invece ha già iniziato ad agitare lo spauracchio del voto sprecato, come ha detto ieri sera: qualsiasi voto a destra non affidato al Likud significa sostegno alla sinistra. Anche se difficile fare passare per uomini di sinistra Bennett, Saar e Lieberman, che quanto a politiche nazionaliste battono a destra Netanyahu.
A sinistra sta avendo un certo peso il dibattito su quali alleanze giustifichino la volontà di terminare l'era Netanyahu. Tra le formazioni attualmente in campo, lo storico partito laburista, che portava nel suo DNA l'eredità dei fondatori della patria, è ormai defunto. Meretz guadagna leggermente dal disgregamento previsto di Blu Bianco, ma valuta anche se rivolgersi all'elettorato arabo, che negli ultimi anni era stato marginalizzato per la scelta di alleanze più centriste. Inoltre, c'è da aspettarsi che i movimenti che hanno dato vita a sei mesi di ininterrotte manifestazioni contro Netanyahu sotto lo slogan "Lech!" (Vattene) si avventureranno ora nei meandri della politica, ancora non si sa se indipendentemente o all'interno di una coalizione più ampia.
Anche la Lista Araba Unitaria, che ingloba quattro partiti diversi, dagli islamisti, ai nazionalisti laici, arriva alle urne in un momento di grande frammentazione interna, con il dilemma posto nei mesi scorsi da Ra'am (il partito islamista) che ha adottato una posizione pragmatica di dialogo aperto con Netanyhau, per ottenere benefici per il proprio elettorato.
Sicuramente vi saranno nuove figure che scenderanno in campo che potranno sbaragliare le carte in tavola, tra queste una menzionata con insistenza è l'ultimo Capo di Stato Maggiore, Gadi Eizenkot. Il limite per presentare le liste elettorali dovrebbe essere fissato per inizi febbraio. La politica israeliana ha poco più di un mese per organizzare i propri giochi con l'obiettivo, al quarto tentativo in due anni, di aggregare almeno 61 parlamentari che riescano a convivere per più di qualche mese.
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