Non ha alcuna intenzione di restare fermo, Giuseppe Conte, di farsi rosolare a fuoco lento dai leader della sua maggioranza, che hanno ormai deciso di "commissariarlo", invocando maggiore collegialità per sottrargli ruolo e poteri. Non lo ha fatto con Salvini, quando il capo della Lega s'era messo in testa di espugnare palazzo Chigi, e non lo farà neanche adesso, nel bel mezzo di una pandemia e della complicata gestione dei 209 miliardi europei, che lo hanno di fatto trasformato nella chiave di volta dell'esecutivo.
Non è andata giù, all'avvocato, la campagna orchestrata (pubblicamente) da Renzi e (sottotraccia) da Di Maio e Zingaretti per costringerlo a ripiegare sul Recovery Plan, addirittura a rinunciare alla cabina di regia a piramide così come era stata pensata: il presidente del Consiglio in cima e sei manager cui delegare l'attuazione dei progetti sotto. Avverte il rumore di fondo che sale dalle segreterie dei partiti. E ha capito che la tregua di Natale, siglata lunedì, potrebbe non reggere fino alla Befana. Perciò ieri si è accomodato nel salotto di Porta a Porta e ha fissato paletti – su Mes, fondi Ue, servizi segreti, rimpasto – per far capire chi è che comanda. Anche a costo di infilare le dita negli occhi degli alleati.
Finché c'è lui alla guida del governo, questo il messaggio, si farà a modo suo. Perché "io sono disponibile a discutere di tutto, ma nel segno della funzionalità degli interessi generali e non delle singole forze di maggioranza". Come a dire che la politica risponde a logiche di bottega a lui estranee. E infatti: "Io sono sempre alla ricerca di soluzioni, ma qualsiasi altra soluzione che non sia nell'interesse del Paese non mi riguarda". Per cui se qualcuno vuole buttarlo giù, deve farlo a viso aperto: "Ho sempre detto che si va avanti, ma solo se c'è la fiducia di tutti. Ne rispondo al Parlamento e al Paese", lancia la sfida il premier.
Non accetterà di essere ridimensionato, Conte. La golden share dell'esecutivo è in mano sua ed è deciso a giocarsela, al tavolo della verifica, su tutte le ruote. A partire dal Recovery: la task force che avrebbe "prevaricato i ministeri è stata superata perché non è mai esistita", taglia corto, spiegando però che "una struttura di monitoraggio serve", ce lo chiede l'Europa, così come i manager, avendo l'Italia "una capacità amministrativa di spendere risorse pubbliche molto modesta".
Seconda ruota: la delega sui Servizi. "Va affidata a un tecnico", è tornato a insistere Renzi. Ma la legge attribuisce al presidente del Consiglio "la responsabilità giuridica, operativa e politica" sull'Intelligence e, anche volendo, "non mi potrei sottrarre", puntualizza l'avvocato. Per poi avvertire: "Varie forze politiche vorrebbero l'autorità delegata. Ma in passato questa autorità era dello stesso partito del presidente, una persona di sua fiducia. Costituire per la prima volta una struttura bicefala sarebbe un'anomalia". E a dimostrazione che quando vuole qualcosa, difficilmente ci rinuncia, nell'ultima bozza del Recovery è rispuntata una sua vecchia idea, che Pd e Iv avevano già bocciato: l'istituzione di un Centro nazionale di ricerca e sviluppo (quindi non più una fondazione) per la cybersecurity.
Terza ruota: il Mes."Possiamo fare tutti i discorsi del mondo ma i 36 miliardi ci porterebbero ad accumulare deficit, quindi ricadrebbero sul debito pubblico. Non possiamo lasciare un fardello sulle generazioni future", incalza Conte. La quarta: il rimpasto con eventuale nomina di due vicepremier. "Non posso alimentare un chiacchiericcio. I partiti non mi hanno chiesto niente". Parole che finiscono per gettare benzina sul fuoco delle tensioni giallorosse. Esplose di nuove ieri a Montecitorio sulla Tav: in Commissione Trasporti i grillini hanno votato contro la risoluzione di maggioranza per rinegoziare con la Ue il peso dei finanziamenti sull'alta velocità. Scatenando l'ira dei renziani.
Intanto dal Nazareno trapelano irritazione e stupore.
"Noi non poniamo ultimatum e non ne accettiamo, ma serve un salto di qualità", avverte il vicesegretario dem Orlando. "Basta con le riunioni che convocano altre riunioni", è la stilettata indirizzata a un premier incline alla melina, "abbiamo bisogno di tempi certi: un calendario e un cronoprogramma perché gestire 209 miliardi è una sfida enorme". Ancora più minaccioso Renzi: "La risposta a Conte arriverà nel documento che gli consegneremo subito dopo Natale". Tra il 28 e il 29, quando riprenderà la verifica sul Recovery. E si tornerà a parlare di Mes. "Tutti i nodi sono ancora sul tavolo, se non si sciolgono, sapremo cosa fare".
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