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Israele, la testimonianza di Meir Ouziel: “Anche io vaccinato”

Mi sono vaccinato contro il Covid-19. Finalmente. È accaduto oggi, 24 dicembre, a Tel Aviv. Una data che mi rimarrà impressa per sempre. Israele è uno dei primi Paesi ad aver iniziato la campagna vaccinazioni per l'intera popolazione e, secondo le statistiche, si trova in testa alla classifica mondiale per percentuale di persone già vaccinate.

Appena è stato annunciato che ogni cittadino sopra i 60 anni poteva accedere all'iniezione, ho subito chiamato. Un po' di attesa al telefono e mi è stato fissato l'appuntamento pochi giorni dopo, per mia moglie e per me. Abbiamo anche potuto fissare da subito l'appuntamento per la seconda dose, che va somministrata dopo 21 giorni.

Arrivato il giorno, mi sono presentato puntuale. C'era fila. Hanno detto che c'era un problema nel sistema informatico. "Ecco", mi sono detto, in un misto di delusione e preoccupazione, "tante promesse e subito spuntano i problemi". Ma dopo pochi minuti la questione si è risolta e la fila ha cominciato a scorrere. Ero stato convocato per le 12:00 e alle 12:15 ero già un uomo vaccinato. Ho atteso altri 15 minuti come da protocollo e mi sono congedato. Questa la pura cronaca dei fatti. Ma non rende la sensazione di festività, l'euforia e la gioia di questo momento.

Mi è stato iniettato il vaccino, ma era come se mi venisse iniettato nuovamente il mondo intero. Si tratta molto più di una semplice iniezione. È un risultato della scienza che ci restituirà il mondo come lo conoscevamo. È un'iniezione di libertà. È un sospiro di sollievo. Mi sento come se mi fosse stata iniettata la libertà di tornare a vivere tra gli altri esseri umani. Di stringere la mano. Di baciare sulle guance i miei cari. Di andare a trovare gli amici. E chissà, forse a breve anche di tornare a visitare il mondo. Questa piccola iniezione farà ripartire gli aerei, gli hotel, i ristoranti, le scuole e le università, il mondo della cultura e i cinema. La vita stessa.

Devo ancora ricevere la seconda dose, il 14 gennaio, ma mi sento già tra i fortunati che sono passati dalla schiavitù alla libertà. Mentre con mia moglie aspettavamo il nostro turno, inutilmente preoccupati, eravamo seduti su delle sedie con la scritta: "Prima della vaccinazione". Dopo aver ricevuto l'iniezione, mi è stato chiesto di attendere per 15 minuti su una sedia su cui era scritto "dopo la vaccinazione". Due sedie che simboleggiano l'abisso tra il mondo dominato dal virus e il mondo che l'ha sopraffatto.

Dopo l'iniezione, né mia moglie né io abbiamo provato alcun dolore o fastidio. Non posso non pensare al fatto che mi sia stata iniettata una sostanza che si trovava a meno 70 gradi, e mi immagino scherzosamente cosa sarebbe successo se non l'avessero scongelata. Mi sarei trasformato in un batter d'occhio in un gelato, come in un cartone animato? Ovviamente non è accaduto, ma mi è venuto in mente che il primo giorno di vaccinazioni in Israele si è verificato un problema tecnico legato al fatto che ogni fiala del vaccino Pfizer contiene cinque dosi. Una giovane infermiera per sbaglio ha iniettato a un farmacista tutte e cinque le dosi contemporaneamente. Momenti di panico. Il farmacista è stato trasferito subito in ospedale, ma stava bene ed è stato dimesso. All'infermiere che mi ha fatto l'agognata iniezione ho detto: "Spero che tu mi abbia iniettato cinque dosi, così per stare più sicuri!". Ha riso.

I primi ad essere vaccinati in Israele con l'inizio dell'operazione domenica sono stati il personale sanitario e le persone di età superiore ai 60 anni. Non faccio parte dello staff medico, ma il secondo criterio l'ho soddisfatto facilmente. Non ho esitato un attimo, non ho dato retta alle voci diffuse sui social media secondo cui ci sarebbero effetti collaterali, né a quanti mi hanno avvertito che se fossi stato vaccinato mi sarebbe spuntata la coda. Per tutta la vita ho creduto nella scienza, e la scienza e la medicina non mi hanno mai deluso.

Appena si è saputo, circa due settimane fa, che gli aerei con i vaccini erano atterrati in Israele, ho scritto su Maariv, il giornale Israeliano per cui lavoro, un pezzo umoristico in cui sostenevo che non intendevo aspettare un attimo di più, che ero disposto a correre all'aeroporto per richiedere una piccola fiala. Non è stato necessario, il vaccino è venuto da me.

Lo aspettavo da quasi un anno. È ciò che si frapponeva tra l'io di oggi e la mia vita di un tempo, tra me e l'umanità prima che la pandemia ci paralizzasse da un polo all'altro del globo. La sensazione che provo oggi è che questo vaccino sta per restituire all'umanità la vita com'era prima che questo astuto e pericoloso virus ci attaccasse. Finalmente.

(Traduzione di Sharon Nizza)

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