MILANO – Il primo tempo di studio, il secondo per affondare il colpo. O se si preferisce, quarantacinque minuti di letargo e poi il risveglio. Non è un caso. Questa Inter a due velocità funziona. Nella prima parte della gara accumula energia da rilasciare poi quando serve, come il Kers in Formula Uno, quel meccanismo elettromeccanico che si carica in frenata e sprigiona potenza in accelerazione. È così che i nerazzurri di Antonio Conte hanno raggiunto il traguardo delle sette vittorie a fila, che nell’ultimo decennio avevano centrato Stramaccioni, Pioli e Spalletti: aspettare la preda e azzannarla al primo segno di debolezza, con abbondante ricorso al contropiede.
di
Francesco Carci
L’Inter, che prima della sfida in casa col Torino del 22 novembre galleggiava sotto la soglia dell’Europa League, da allora nelle sette gare consecutive vinte in campionato ha segnato appena 3 gol nei primi tempi e 16 nei secondi. Tutte le ultime 9 reti nerazzurre sono arrivate nella ripresa. E dall’inizio stagione di Serie A, per 18 volte l’Inter è andata a segno nell’ultima mezz’ora, spesso ribaltando la partita. È successo in avvio di campionato contro la Fiorentina, poi contro il Torino e di nuovo in trasferta a Cagliari. Segno che i nerazzurri non si perdono d’animo, e che nelle difficoltà sanno organizzare contromosse efficaci.
Nell’inizio stagione col freno a mano tirato, Conte provò a giocare con il trequartista, nel tentativo di trovare un posto a Eriksen. “Il mio obiettivo è trovare il bello nel gioco del calcio”, diceva, come fosse Klopp. Le vittorie hanno cominciato ad arrivare quando ha sistemato la difesa e restaurato il suo vecchio schema base, che ha portato l’Inter in finale di Europa League: 3-5-2 classico con Brozovic (o all’occasione Barella) davanti alla difesa, affiancato da due mezzali. Un’impostazione perfetta per aspettare di capire il gioco dell’avversario senza farsi troppo male, e alla prima occasione colpire in contropiede. Lo schema visto ieri al Bentegodi, con Perisic e Lautaro a far da corona a Lukaku, è una variante della ricetta.
L’Inter, che sotto pressione in Champions League non ha saputo fare la differenza, in campionato ha fatto quasi il pieno con le squadre piccole e medie. Contro avversarie della parte destra della classifica, ha lasciato solo 2 punti contro il Parma. Un approccio che alla lunga paga, su cui la Juventus ha costruito la cavalcata dei 9 scudetti di fila, i primi tre con Conte in panchina. “Non più pazza Inter”, ha promesso nel luglio 2019 l’allenatore a Steven Zhang. A un anno e mezzo di distanza i frutti sembrano arrivare. Tanto più che, senza coppe europee da giocare, l’Inter da febbraio avrà un vantaggio competitivo sulle rivali: potrà dedicare a una partita in casa col Genoa la cura e l’attenzione che si deve a un big match.
Oltre alle questioni tattiche e alla capacità di reazione collettiva, l’Inter deve l’exploit nei secondi tempi alla qualità della rosa. A fare la differenza, molto più del gioco, sono le iniziative dei campioni, che emergono quando nel finale di partita le squadre si sfilacciano e gli spazi aumentano. Lukaku è secondo nella classifica marcatori, con 11 reti in 13 partite. Meglio di lui ha fatto solo Ronaldo. Hakimi è a quota 4 gol (come Morata, Mertens e il Papu Gomez) con altrettanti assist. Lautaro a Verona ha confermato la capacità di segnare quando serve. E c’è la panchina, arma che contro avversari più poveri e sguarniti si rivela spesso micidiale.
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