"Non sapevo cosa aspettarmi da lui – confessa a fine gara il coach dei Warriors, Steve Kerr – ma una cosa posso dirla: non ho trovato differenze tra come giocava diciotto mesi fa e stasera. E' rimasto spaventoso per gli avversari". L'ultima volta di Kevin Durant in una partita ufficiale, la gente era seduta ai bordi del parquet della Scotiabank Arena di Toronto, i Warriors erano avanti di cinque punti all'inizio del secondo quarto di gara 5 delle finali Nba. Quel giorno la notizia più grave era stato un elicottero schiantato con il pilota sul tetto di un grattacielo di Manhattan. Il premier canadese Justin Trudeau aveva dichiarato guerra all'inquinamento da buste di plastica. Non c'era il Covid, respiravamo a pieni polmoni. Durant aveva provato un crossover in attacco, piantando il piede destro a terra. Era rimasto seduto, dolorante, tenendosi stretto il piede. Lo avevano dovuto portare via a braccia. Rottura del tendine d'Achille. Toronto avrebbe poi vinto il titolo.
La maglia numero 7 dei Brooklyn Nets
Dopo 561 giorni Durant è tornato in campo, con un'altra maglia, la numero 7 dei Brooklyn Nets, proprio contro la sua vecchia squadra, Golden State – perché è così che l'Nba costruisce la sua inimitabile narrazione sportiva – in un'arena deserta per la pandemia, con il commissioner Adam Silver, l'uomo a capo di un'organizzazione perfetta, che con un messaggio video ha ringraziato medici e infermieri. Una di loro, voce alla Whitney Houston, ha cantato l'inno, altri sono apparsi sul maxischermo durante la serata. C'era vita nel deserto. C'è stato basket e con esso Durant: guidati da lui i Nets hanno cominciato la lenta demolizione dei Warriors in una partita senza storia. Durant era già a 10 punti dopo appena 5 minuti, la metà della squadra, che sarebbe in realtà Kyle Irving. Venti punti in due (20-8), zero tutti gli altri. Kevin e Kyrie si passavano la palla come al playground, colpendo dall'arco e in penetrazione. E' andata avanti così anche dopo, quando si sono aggiunti gli altri. I Nets bucavano la retina da tutte le posizioni, mostrando di aver già capito cosa chiedono i due coach, Steve Nash e Mike D'Antoni, che sarebbe un po' come avere Andrea Pirlo e Max Allegri insieme. Nell'arena vuota, intanto, come colonna sonora della partita, arrivavano le note rap di "What that speed bout?" di Nicki Minaj e "Feel right" cantata da Mark Ronson. In effetti Durant si sentiva molto "right": 4-7 da due, 1-1 da tre, due rimbalzi e un assist. Il primo quarto si è chiuso con i Nets avanti di 15 (40-25), con una proiezione di 160 punti finali che calerà, ovviamente, con il passare dei minuti. Ma nessuno ha avuto dubbi su chi avrebbe vinto e su chi fosse la star della serata: Durant.
Da Durantula a The Servant
I tifosi, entità eterea anche in questa stagione, lo hanno soprannominato in molti modi: Durantula, per le braccia lunghe da ragno, Slim Reaper, una sorte di signora nera con la falce, e Green Room, come lo chiamò il padre pensando alla sala dove siedono le prime scelte al Draft, o The Servant, soprannome che Durant ama di più, perché "vuole servire" tutti. Se doveste incontrarlo sulla linea Q della metropolitana di New York, cappuccio calato sugli occhi, non chiamatelo Slim Reaper se volete strappargli un sorriso. Odia quel soprannome. Ma come dice Kerr, è rimasto spaventoso e il completo nero lo rende più lugubre e fatale. Nel secondo quarto i compagni hanno preso il largo e lui, a ogni canestro, ha invaso il campo stringendo i pugni. I Nets sono andati all'intervallo sul +18 (63-45). Durant era a 12 punti. Irving a 24, frutto di tiri aperti grazie alla presenza di KD che ha portato la difesa dei Warriors a collassare affannosamente su di lui, lasciando libero il compagno. I 16 punti di Curry, per Golden State, sono apparsi meno inesorabili del solito, arrivati dopo un deludente 2-7 dall'arco e una percentuale complessiva di squadra che alla fine sarà del 30 per cento da tre, contro il 42,9 di Brooklyn. Il terzo quarto si è chiuso 99-71. Non è stata una sfida tra KD e il suo passato ma con il suo futuro: a 32 anni, leader assoluto e contratto da 39 milioni a stagione, a salire, l'ex Golden State vuole portare in alto i Nets e con loro questo ventre molle del basket che è New York. Con simili ingredienti la partita, a un certo punto, è diventata solo esibizione.
Basket Nba, Mannion: "Io con Curry ed è tutto vero"
di
Massimo Basile
Mannion in panchina
Durant se ne è andato in panchina con 22 punti, 5 rimbalzi e tre assist in 25'. Per Irving 26 punti. Dall'altra parte Curry ha chiuso con 20, il rookie James Wiseman 19. L'italiano Nico Mannion non si è neanche spogliato. E' finita 125-99 e abbastanza in fretta, in meno di due ore e mezza. Alla sirena è partita la musica, mentre Durant si è avviato verso il tunnel senza passare dalla panchina della sua ex squadra. Se per Kerr, in diciotto mesi KD non è cambiato, per lui è cominciata una nuova storia. E quella vista a Brooklyn è stata solo la prima puntata.
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