Mentre il lockdown affossava il resto dell’umanità, la sua montagna di denaro cresceva e cresceva e cresceva: con duecento miliardi di dollari, Jeff Bezos possiede il patrimonio personale più alto di sempre, ma – come racconta Riccardo Staglianò sul Venerdì di Repubblica in edicola eccezionalmente domani, giovedì (e anche tutta la settimana), in un ritratto fra il personale e il “politico” – questo dato può essere visto anche da un’altra prospettiva: ogni 9 secondi Mr Bezos si mette in tasca una somma equivalente allo stipendio annuale di un suo magazziniere. Ottocentoquarantamila, poi, è il numero globale dei dipendenti, per ognuno dei quali però si stima che Amazon abbia fatto fuori due o forse tre altri lavoratori. E tutto ciò prima del dispiegamento di oltre duecentomila robot nei magazzini… Ma se pensate che Amazon guadagni sulla consegna delle merci e basta, beh, siete in errore: Staglianò racconta che la metà di quanti nel mondo abbiano bisogno di servizi cloud si appoggia sui server di Amazon, e quello che sta per accadere sembra fantascienza…
Benché la marcia di Jeff Bezos sembri inarrestabile, e lui amministri il suo impero con regole ferree (facendo applicare con scrupolo 14 principi inderogabili e appoggiandosi su un gruppo di 18 supermanager, dove figurano soltanto una donna e nessun nero), c’è chi tenta di arginarlo. O almeno di mettergli i bastoni tra le ruote. Se le agenzie antitrust ci provano da anni senza grande successo, il fronte che invoca leggi più severe e magari il boicottaggio è in crescita. E in Italia? Greenpeace, il nome più “forte”, dice di volere “denunciare un modello di business predatorio verso il mondo”. Ma da Matteo Salvini agli anarchici ai giovanissimi giornalisti del mensile Scomodo – come racconta sul Venerdì Brunella Giovara – gli oppositori da noi sono ancora pochi e, soprattutto, si muovono in ordine sparso.

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