Sars-Cov-2 ha tutte le caratteristiche per essere il virus perfetto per una pandemia. Si diffonde per via aerea, passa da persona a persona anche prima che l’individuo infetto sviluppi sintomi e -in una non trascurabile quota di individui- compie il suo ciclo vitale apparentemente senza sintomi. Una caratteristica, quest’ultima, estremamente pericolosa dal momento che la persona può inconsapevolmente infettarne molte altre.
Dall’inizio della pandemia ad oggi le conoscenze sul contributo degli asintomatici sono andate in crescendo. Anche se molto rimane da chiarire, la certezza è che l’isolamento di queste persone è di fondamentale importanza nel controllo della pandemia.
Ecco tutto ciò che c’è da sapere sul ruolo degli asintomatici nella diffusione di Covid-19.
Nella diffusione di Covid-19 gli asintomatici giocano un ruolo fondamentale. Quando però si parla di “asintomatici” occorre sempre distinguere. Quando si viene in contatto con Sars-Cov-2 ci sono due possibilità. La prima è quella di sviluppare una malattia asintomatica, ovvero una situazione per cui senza la positività al tampone la persona non si accorge della presenza del virus. La seconda è quella in cui l’individuo è sintomatico proprio perché sviluppa i sintomi tipici della malattia. Nel caso questi siano blandi si parla di individuo paucisintomatico.
Ma il vero problema nel contrasto al coronavirus è rappresentato da chi, in un determinato momento, è infettivo pur non avendo sintomi. Ciò accade sia negli individui totalmente asintomatici sia in quelli pre-sintomatici. Perché il virus, purtroppo, agisce in maniera subdola: una recente analisi pubblicata in novembre su The Lancet Microbe ha dimostrato in maniera incontrovertibile – comparando 79 studi sull’argomento– come le persone positive a Sars-Cov-2 possano contagiarne altre nel periodo mediamente compreso tra i due giorni prima dello sviluppo dei sintomi e sino almeno ad una settimana dall’esordio.
di
Elena Dusi
Essere dunque infettivi nella fase pre-sintomatica della malattia è quella caratteristica, unita alla quota di veri asintomatici, che ha permesso al virus di diffondersi in maniera incontrollata. Ecco perché senza una vera strategia di contact-tracing e isolamento siamo sempre costretti a rincorrere il virus. Questo perché si calcola che la metà dei contagi si verifica proprio a partire da persone che nel momento del passaggio del virus non hanno ancora sintomi. Secondo uno studio pubblicato in estate da Pnas, per controllare i focolai nascenti è indispensabile riuscire a identificare e bloccare almeno un terzo delle infezioni che nascono nella fase senza sintomi.
Ma se ormai la scienza è concorde nel considerare la finestra temporale di contagio da due giorni prima dei sintomi sino alla settimana successiva, quanto incidono realmente le persone totalmente asintomatiche? A quantificarlo ci ha pensato uno studio pubblicato ad inizio dicembre su Official Journal of the Association of Medical Microbiology and Infectious Disease Canada. Realizzato su oltre 23 mila persone l’analisi mostra che almeno un quinto degli individui positivi a Sars-Cov-2 non sviluppa alcun sintomo apparente. Il vero problema però è che sono anch’essi contagiosi. C’è però una buona notizia: questa settimana la rivista The Lancet ha pubblicato uno studio, realizzato a Singapore – uno degli Stati dove grazie alla massiccia attività di tracing la pandemia è sempre rimasta sotto controllo -, in cui si è riusciti a quantificare la contagiosità di questi individui.
Agnese Codignola
Analizzando oltre 600 casi positivi e i quasi 4 mila contatti stretti, è emerso che gli asintomatici hanno meno probabilità di trasmettere il virus rispetto ai positivi con sintomi. Gli individui positivi al virus che non sviluppano alcun sintomo, pur essendo infettivi a tutti gli effetti, contribuiscono dunque in maniera minore a creare nuovi casi. Una notizia positiva che non deve però fare abbassare la guardia sull’adozione di mascherine, distanziamento e igiene.
Ma se molte ricerche si sono concentrate sul ruolo degli asintomatici, a quasi un anno dall’inizio della pandemia cominciano a giungere molti e poco confortanti dati sugli effetti a lungo termine del virus. Gli asintomatici infatti, pur non sviluppando i sintomi della malattia, sono da considerarsi dei malati di Covid-19 a tutti gli effetti a causa dei danni silenti provocati da Sars-Cov-2. I segni clinici del passaggio del virus si possono infatti ritrovare anche in queste persone.
di
Fabio Di Todaro
“L’assenza dei sintomi di Covid-19 nelle persone infettate da Sars-CoV-2 -scriveva in giugno Eric Topol, direttore dello Scripps Research Translational Institute, non implica necessariamente l’assenza di danni”. Sono sempre più numerosi gli studi che mostrano, grazie all’utilizzo delle immagini Tac, danni silenti a livello polmonare. Ma c’è di più: proprio perché i recettori ACE2 -quelli che il virus sfrutta per entrare nelle cellule umane- sono presenti in grande quantità anche a livello cardiaco, è stato dimostrato che nelle persone asintomatiche il virus può creare problemi come aritmie e miocarditi. Ecco perché, parlare di asintomatici come portatori sani di Sars-Cov-2, non è affatto corretto.
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