LONDRA – La regina Elisabetta ebbe il suo annus horribilis nel 1992: il divorzio di due figli, le rivelazioni sui tradimenti reciproci di Carlo e Diana, perfino un incendio al castello di Windsor. Senza arrivare a tanto, in questi giorni Boris Johnson sta attraversando probabilmente la settimana più orribile del suo primo anno a Downing Street. Eletto primo ministro il 12 dicembre 2019, l'ex-ministro degli Esteri sembrava avviato a dominare a lungo la politica britannica senza avversari. Aveva ottenuto alle urne la più ampia maggioranza in oltre trent'anni. Aveva negoziato con successo la Brexit, ovvero l'accordo di "divorzio" con l'Unione Europea, impresa lungamente rincorsa senza successo dalla sua predecessora Theresa May. L'opposizione laburista appariva distrutta dal radicalismo del suo leader Jeremy Corbyn, che nonostante la peggiore sconfitta in quasi un secolo rifiutava per il momento di dimettersi come esige in questi casi la pratica inglese. Gli opinionisti prevedevano che l'allora 55enne Alexander Boris de Pfeffel Johnson, questo il suo nome completo, avrebbe abbandonato il populismo delle sue campagne precedenti, tanto non gli serviva più, sarebbe tornato a collocarsi nel pragmatico centro che gli aveva permesso di venire eletto due volte sindaco della città più progressista d'Inghilterra (Londra) e avrebbe messo una forte ipoteca su una rielezione nel giro di cinque anni, con la possibilità di scrivere il proprio nome tra i grandi conservatori della storia patria, accanto al suo idolo Winston Churchill e a Margaret Thatcher.
Le cose sono andate diversamente. Forse plagiato da un consigliere troppo sicuro di sé, Dominic "Rasputin" Cummings, Johnson ha continuato a governare come se fosse in permanente campagna elettorale, senza rinunciare al populismo. Invece di cercare rapidamente un accordo con la Ue sulle future relazioni commerciali da cui dipende l'economia britannica (il 40 per cento delle cui esportazioni sono sul continente), ha battagliato con Bruxelles a colpi di ultimatum e retorica churchilliana, finendo per prolungare la trattativa fuori tempo massimo: a una settimana dalla scadenza obbligata del 31 dicembre, fine della fase di transizione in cui tutto è rimasto di fatto come quando la Gran Bretagna faceva parte dell'Europa unita, ancora non si sa se sarà un'uscita con un'intesa per almeno non pagare dazi sulle merci o il temuto "no deal", l'ipotesi più dannosa per tutti. Nel frattempo è scoppiata la pandemia del Covid, colpendo un primo ministro che per carattere vorrebbe dare solo buone notizie con una cattiva notizia dietro l'altra: il risultato è stato una serie di approssimazioni, errori e contraddizioni, che hanno portato il Regno Unito ad avere uno dei peggiori record di casi e di vittime in Europa.
Se Londra si allontana: la variante inglese del virus anticipa il dramma della Brexit
di
Paolo Garimberti
Non è stato un buon anno per "BoJo", come lo chiamano i tabloid. Ma gli ultimi giorni, in un brutto anno, sono stati bruttissimi per lui. Una nuova variante più aggressiva di Coronavirus è emersa proprio in Inghilterra. Il premier è stato costretto a imporre un lockdown a Natale, tre giorni dopo avere dichiarato che sarebbe stato "disumano" adottare un provvedimento del genere. Alle critiche dell'opposizione laburista, non più in mano a Corbyn ma a Keir Starmer, grande avvocato, abile procuratore, che lo mette di continuo in difficoltà nei duelli in parlamento, si sono sommate anche quelle dei deputati del suo stesso partito. Perfino la stampa di destra, il Sun di Rupert Murdoch che lo aveva sempre sostenuto, il Telegraph del quale era un columnist strapagato fino a poco tempo fa, lo ha attaccato duramente. Il blocco dei voli e quello dei trasporti via terra ha isolato il Regno Unito come non succedeva dai tempi dell'attacco nazista, solo che adesso il nemico non è fuori ma dentro e invisibile. Code di migliaia di camion a Dover minacciano di lasciare gli inglesi senza rifornimenti alimentari per Natale. E sullo sfondo il negoziato sulla Brexit, o meglio sui rapporti post-Brexit che entreranno in vigore dal primo gennaio, continua a non produrre un risultato positivo.
La tempesta perfetta che è discesa su Downing Street potrebbe naturalmente spingerlo a cercare ad ogni costo una buona novella da mettere sotto l'albero il 25 dicembre per risollevare l'umore nazionale e salvare se stesso da una possibile defenestrazione nei prossimi mesi. Il sostituto ci sarebbe: Rishi Sunak, giovane e brillante ministro del Tesoro di origine indiana, che spesso appare l'unica testa ragionevole dell'attuale governo. Un concorrente interno ai Tories che contribuisce a innervosire il premier.
E dunque, riuscirà Boris Johnson a tirarsi fuori dal buco in cui si è in parte cacciato con le proprie mani? Non è escluso. Intanto ha concordato in fretta e furia con il presidente francese Macron la riapertura del muro che era diventato il canale della Manica: i camion da stamane riprenderanno a viaggiare nelle due direzioni. Poi ha ricevuto un aiutino dalla da lui tanto vituperata Bruxelles: la Commissione Europea ha esortato i suoi 27 stati membri a riaprire la frontiera con il 28esimo che se ne è appena andato sbattendo la porta, perlomeno alle merci e ai viaggi essenziali, ma pure per riportare a casa le migliaia di cittadini europei e britannici rimasti bloccati dalla sospensione dei voli, nonostante i timori sulla "variante inglese" del virus. Infine, Johnson ha fatto l'ennesima concessione nel negoziato sulla Brexit, stavolta sui diritti di pesca, continuando nella stessa tattica di chi dà ultimatum all'avversario e poi se li rimangia: se la mossa si rivelerà sufficiente, è possibile che prima del giorno di Natale, o più verosimilmente lunedì 28 dicembre, come suggerisce una fonte diplomatica a "Repubblica", si arrivi a un accordo di libero commercio, senza il tempo di una ratifica dei rispettivi parlamenti ma che potrebbe essere approvato "provvisoriamente" dalle due parti in attesa del voto di approvazione reciproca all'inizio di gennaio. Un triplo salto mortale potrebbe dare un temporaneo lieto fine alla settimana più orribile del suo primo, brutto anno di governo.
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