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Messi e Barcellona, perché la pace è possibile

BARCELLONA – Quando, nel 2003, la federazione argentina chiese a Marcelo Bielsa, l'allora commissario tecnico dell'Albiceleste, di dare un'occhiata al video di una piccola pulce nata nella sua Rosario, 16 anni prima, e formata calcisticamente all'ombra della Masia, erano davvero in pochi a sapere in Argentina chi fosse e quanto avrebbe potuto diventare forte un certo Lionel Messi. Un vero e proprio colpo di fulmine, cominciato con un equivoco, un malinteso tecnologico: "Ok, perfetto. Ora, però, rimettilo senza accelerarlo", chiese il 'Loco' al proprio assistente, Claudio Vivas, che, dalla sua, gli fece notare che le vertiginose conduzioni da una parte all'altra del campo che aveva appena visto erano "a velocità reale". Da quel momento in poi l'Afa fece di tutto pur battere la concorrenza della Federcalcio spagnola, che già da tempo era interessata a mettere le mani sul genio che spopolava su tutti i campetti delle categorie inferiori catalane. La verità, però, è che l'Argentina non corse mai il pericolo di perderlo: "Non mi è mai passato per la testa di giocare con la Spagna", ha assicurato più volte lo stesso crack rosarino. E non si tratta di dichiarazioni di comodo. Alex García, uno degli allenatori che ha avuto la fortuna e la responsabilità di formarlo durante la sua permanenza nella cantera blaugrana, non ha mai avuto dubbi: "Sa bene da dove viene". Una frase, anzi, meglio, una consapevolezza che ha accompagnato Messi in ogni suo passo, in ogni suo gol, sin da quando si trasferì a Barcellona per mettersi nelle mani dei dottori e dei maestri di fútbol catalani.

Leo sa bene da dove viene e sa bene anche che il Barça gli ha dato tutto. Non a caso, la decisione di restare in Catalogna – perdendo in maniera deliberata, quasi rinunciataria, il braccio di ferro intrapreso a fine agosto con Josep Maria Bartomeu – fu presa proprio perché "non avrei mai potuto portare in tribunale il club della mia vita". Questo non vuol dire che la strategia del burofax fosse stata un semplice bluff. Il sei volte Pallone d'Oro era convinto di essersi guadagnato il diritto di decidere quando levare le tende dal Camp Nou e la batosta rimediata contro il Bayern Monaco in Champions League lo aveva, definitivamente, persuaso del fatto che quel momento, temuto più che auspicato, fosse davvero arrivato. In un'intervista che andrà in onda domenica prossima su 'la Sexta' e della quale sono stati resi noti alcuni frammenti, la Pulga è tornato su quanto successo a cavallo tra lo scorso mese d'agosto e quello di settembre: "Sì, è vero, la scorsa estate ho attraversato un brutto periodo. Ma era un cumulo di cose… Brutto periodo che mi sono trascinato dietro anche all'inizio di questa stagione". Quattro mesi più tardi, però, l'ira funesta di quei giorni è solo un lontano ricordo, e le sonore sberle generate dai ripetutiti errori commessi dal presidente Bartomeu ("non esiste da tempo un progetto sportivo") si sono trasformate in generose dosi di carezze da dispensare, senza parsimonia, al club della sua vita: "In questo momento sto bene e ho voglia di lottare sul serio per tutto quello che ci aspetta. Ho ritrovato l'entusiasmo. So che la società sta attraversando un momento complicato, sia a livello istituzionale che sportivo, e questo rende tutto più difficile, ma ho voglia». Voglia generica: di fare, di dare, di ricominciare, di dimostrare di essere ancora il numero uno, di riconquistare anche la fiducia degli ex integralisti che, dopo il suo deludente e apatico avvio di stagione, hanno perso la fede nella religione Messianica.

L'addio di Bartomeu non può spiegare da solo il suo nuovo atteggiamento, la sua rinnovata determinazione. Già da qualche settimana, infatti, Leo ha ritrovato il proprio sorriso e, soprattutto, la "cazzimma" del ganador. A scendere in campo in questo periodo di tempo è stato, infatti, soltanto l'ombra del calciatore più ammirato del pianeta negli ultimi 15 anni. Una corrucciata brutta copia che, di certo, non avrebbe mai potuto gettare ombre sulla propria carriera, ma che ne stava sporcando, agli occhi del popolo, l'immagine e la fama d'invincibile semidio. Nella vecchia normalità, infatti, Joan Laporta, ex presidente blaugrana e principale favorito in vista delle elezioni del prossimo 24 gennaio, non si sarebbe potuto permettere nemmeno di pensare che "il Barcellona sarà competitivo anche senza Leo". Figuriamoci di dirlo pubblicamente. E così, a questo punto, resta soltanto da capire se e quando il Messi dall'andatura a scorrimento lento visto sinora tornerà a essere l'imprendibile folletto con la palla incollata al piede sinistro. Sì, lo stesso che aveva fatto credere a Bielsa che quello che stava vedendo in tv fosse un effetto speciale provocato da un troppo solerte lettore dvd.

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