BOLOGNA. La Via Emilia come la Route 66. Un viaggio metaforico dentro l’anima di questa terra tra vicende, leggende e personaggi che ne hanno fatto la storia. È quello compiuto da Carlo Donati, scrittore esordiente a 77 anni, ex responsabile della Terza pagina del Resto del Carlino, nei due volumi “Strada Nove – La Via Emilia e le sue curve” editi da Affinità elettive-Cattedrale editori (16 euro l’uno): un tour ricchissimo di aneddoti, incontri reali e non, testimonianze, ricordi.
Un colto lavoro anche di ricerca documentale, poderoso quanto scrupoloso, perfino enciclopedico (700 pagine in totale), che ha però il passo leggero del romanzo. È un percorso a due dimensioni: quella geografica, poco più di un pretesto, e quella temporale che non segue una logica ortodossa. Si procede linearmente ma anche in profondità come speleologi in una miniera di curiosità, immagini, eventi, schizzando avanti e indietro nei secoli quanto il lettore è libero di saltare tra le pagine. È come se l’autore avesse percorso la via Emilia a bordo di una macchina del tempo, facendone una sorta di architrave alla quale appendere centinaia di storie significative, ognuna a suo modo imperdibile e preziosa.
Ne esce una galleria di personaggi che accomuna – come passeggeri dello stesso torpedone – Napoleone o Marco Emilio Lèpido allo sconosciuto qualsiasi incrociato per caso in un bar di provincia, dando loro pari dignità. Insomma, c’è dentro tutto quello che si deve sapere per poter dire di conoscere davvero l’Emilia-Romagna.
Per tutta la vita Carlo Donati, parmigiano di nascita e bolognese d’adozione, ha letto, studiato, osservato e ascoltato le vite degli altri. Una volta in pensione, si è dedicato a elaborare, ordinare e raccontare quel suo tesoro personale di esperienze. “Avevo letto un libro americano sulla Route 66 – spiega – e così sono andato a vedere sulla cartina geografica quali città si affacciassero su questa mitica strada che meritassero tanta fama: niente, devo dire, al confronto della nostra via Emilia”. E così ha preso l’auto e s’è messo a percorrerla, andando anche in cerca di quei bocconi che avanzano, ormai nascosti, dell’originario tracciato romano della consolare.
Incroci, infarti, incongruenze, paesaggi, orrori urbanistici, affluenti d’asfalto. Una narrazione romantica, lucida ma anche ironica in cui ogni svincolo on the road porta a un piccolo mondo in cui smarrirsi, un’arteria e infiniti capillari. “Nei bar dove mi fermavo a parlare con la gente mi raccontavano cose incredibili che poi si rivelano essere vere. Addentrandomi, e amando sempre di più la Strada Nove, mi accorgevo di come la nostra fosse infinitamente più ricca di menti, di figure che hanno segnato autentiche trasformazioni culturali, che fanno entrare questi luoghi in una dimensione metafisica. Penso alle fotografie di Luigi Ghirri, cantore per immagini straordinario. E’ stato proprio di fronte a un paesaggio di Ghirri, che molti anni dopo, mi sarei ricordato di quella favolosa notte in cui mio padre mi portò a conoscere la Via Emilia”.
La via Emilia è anche un’autostrada della memoria che riporta l’autore all’origine. E questo nastro che conduce altrove è un’apparizione magica che ricorda il Rex di Fellini. “La Via Emilia della mia infanzia era un luogo fiabesco, fuori dal tempo, noi bambini che vivevamo in campagna ne avvertivamo la presenza, la sognavamo, ma è come se fosse un altro mondo. Sino a quando arriva una promessa. Mio padre mi dice, ‘Questa sera ti porto a vedere la Via Emilia’. L’occasione era il passaggio di una corsa automobilistica. Il regalo più bello”.
A Bologna, Donati dedica un centinaio di pagine, partendo dall’osservazione dei “Funerali di Togliatti” dipinto da Renato Guttuso ed esposto al Mambo per finire all’Omone, il monumento al camionista a Borgo Panigale là dove “la via Emilia se ne va verso Modena fra il disinteresse generale”. Tra questi estremi, si affacciano Re Enzo e Zangheri, Umberto Eco e Occhetto, Carducci e Pazienza, Accursio e Bernabeu, Dozza, Zanardi, Lercaro, Dossetti, Imbeni e Prodi; e ancora Giorgio Morandi, Pozzati e Cuniberti; le avventure editoriali del Mulino di Raimondi e Berselli, dell’Officina di Roversi e Pasolini, della Zanichelli e di Valvoline; la Ducati, la Carpigiani e la Riva Calzoni dov’era impiegato quel Luigi Schenoni che traduceva libretti di istruzioni di giorno e James Joyce di notte. Fatti e volti noti e meno noti proposti o riproposti con uno sguardo disicantato e innamorato al tempo stesso.
“Leggendo questo libro – aggiunge Massimo Canalini, che ne ha curato la pubblicazione – travolto dall’incalzare delle figure e dei posti descritti nelle pagine, ho pensato che Strada Nove potesse una versione italiana dei leggendari Magical Mistery Tour resi celebri dai Beatles. Quei viaggi lunghi un giorno, che, nell’Inghilterra degli anni 60, ti trascinavano, su un autobus, verso una meta che non conoscevi. Salivi a bordo e ti godevi l’avventura, scoprendo che non c’era bisogno di raggiungere posti lontani per soddisfare il tuo desiderio di avventura”.
E infatti sono molti di più i chilometri percorsi dall’autore con la mente di quelli segnati sul tachimetro della sua auto. Senza celare la nostalgia di quel che lungo la via Emilia abbiamo perduto e non ritroveremo più.
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