Nell’aula del tribunale di Napoli, l’uomo che fu uno degli architetti più controversi della stagione berlusconiana della Seconda Repubblica racconta ai magistrati di aver sofferto più per il sequestro di migliaia di libri antichi che per la detenzione dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. «Quando ero detenuto a Parma mi sono stati sequestrati 40mila volumi. Sono stato male per questa cosa, ho dovuto mettere tre stent, perché mi ha fatto più danno questo della stessa carcerazione», dice Marcello Dell’Utri, appassionato bibliofilo ma soprattutto ex senatore e stratega della nascita di Forza Italia, poi travolto dall’inchiesta sulle di collusioni con Cosa nostra e ora sotto processo a Napoli con l’ipotesi di peculato per aver ricevuto dall’ex direttore della biblioteca dei Girolamini, Massimo Marino De Caro, 14 testi trafugati dal monumento.
Interrogato come imputato davanti ai giudici della prima sezione penale presieduta da Francesco Pellecchia, Dell’Utri nega di aver saputo che quei volumi erano stati rubati dalla biblioteca: «È un’accusa che non ho mai accettato e ovviamente non posso accettare. Perché non è la verità. Non ho mai concordato con De Caro la sottrazione di libri dalla Girolamini. Sarei stato veramente un pazzo, io che ho fatto sempre tutto per dare agli altri i libri, mi accingevo a fare una spoliazione di una biblioteca importante? E poi, sarei stato così cretino da annotare il punto, il momento, il luogo della ricezione di questi libri? Ma non esiste al mondo». Dell’Utri risponde alle domande della pm Antonella Serio, che con il procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli coordina i diversi filoni dell’indagine avviata otto anni fa dal futuro procuratore Giovanni Melillo, e dei suoi avvocati, Claudio Botti e Francesco Centonze.
Ricorda di aver conosciuto De Caro (protagonista centrale dello scandalo dei Girolamini, già condannato a 7 anni) perché questi era «un libraio antiquario» e gli era stato presentato da «un altro libraio antiquario suo amico». De Caro, rimarca l’ex senatore, «era uno fra i più preparati dal punto di vista della bibliofilia e della bibliografia», oltre ad essersi mostrato anche «simpatizzante di Forza Italia». Fu proprio Dell’Utri a mettere in contatto il futuro direttore dei Girolamini con l’allora ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan. «Sapevo che De Caro era competente di energie alternative. Peraltro aveva rapporti in Russia, dove conosceva un oligarca importantissimo. Quando Galan fu nominato ministro, De Caro mi disse che avrebbe potuto dargli suggerimenti utili e mi chiese di presentarlo a lui». Così Dell’Utri chiese a Galan di «ricevere questo giovane, ha un’idea da proporre». Dopo il colloquio, il ministro commentò: «È bravissimo, lo tengo come consulente».
Dell’Utri esclude invece di aver avuto un ruolo nella nomina di De Caro ai Girolamini. «Quando me lo disse, neanche sapevo dove fosse questa biblioteca». Sui libri ricevuti da De Caro, l’ex braccio destro di Berlusconi ribadisce di non essere stato mai a conoscenza della loro provenienza dai Girolamini. «Non potevo immaginare che De Caro mi facesse una cosa del genere, lo avrei mandato a quel paese».
Più volte, durante l’interrogatorio in aula, Dell’Utri insiste sul suo amore per i libri. «Ho aperto la biblioteca di via Senato per il pubblico, non per me. Ho sempre ambito che i libri fossero studiati, valutati, che fossero strumento di preparazione». Così, quando gli vengono sequestrati a Milano 40mila testi antichi «per verificare cosa c’era della Biblioteca dei Girolamini», l’ex senatore soffre peggio di quando lo hanno portato in carcere. «Non ritenevo giusto questo atto, la Procura di Milano (che aveva aperto un’indagine autonoma n.d.r.) ha tenuto questi volumi per sei anni e non ha trovato alcun libro proveniente né dalla Girolamini, né da altre biblioteche, conventi o chicchessia. Me li hanno restituiti con un tir, stanno lì in Biblioteca per cercare di rimetterli a posto, anche perché molti sono stati rovinati dal sequestro. È un argomento che mi fa male ancora oggi».
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