SI DICE “early access” e significa possibilità di accedere a farmaci in molti casi già approvati dall’ente regolatorio europeo (EMA) ma non ancora rimborsati dal nostro sistema sanitario nazionale. Come? Usufruendo di particolari norme. La prima è la legge 648/1996 che consente di erogare un farmaco, in corso di sperimentazione clinica o con un’indicazione terapeutica diversa, già inserito in una lista approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Esiste poi il Fondo Aifa del 5% che permette l’uso di farmaci orfani per il trattamento di patologie rare o di cure in attesa di commercializzazione. Vi è la legge 94/1998 che autorizza l’utilizzo di trattamenti “off label” (cioè per un’indicazione diversa da quella per cui sono state approvate) sotto la responsabilità del medico che lo prescrive, e gli usi nominali che sono consentiti grazie alla fornitura gratuita del farmaco da parte delle aziende che lo producono.
Ma quanti oncologi conoscono e usufruiscono dell’early access? Secondo un sondaggio promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), ben il 90% degli specialisti ne ha avuto esperienza diretta per ottenere “in anteprima” i farmaci antitumorali. Tuttavia il 33% dichiara di aver avuto problemi con le procedure burocratiche nella richiesta di un farmaco nell’ambito del Fondo 5% di Aifa. E uno su cinque dichiara invece di aver desistito dal portare avanti ulteriori richieste, in seguito alle risposte negative da parte dell’ente regolatorio. Il 12% ha incontrato le stesse difficoltà nell’accesso alle terapie in base alla legge 648/1996. Il 22% ha avuto problemi nella richiesta dell’uso off label garantito dalla 94/1998. L’indagine, resa possibile con il supporto non condizionato di Astrazeneca, è stata presentata questa mattina dall’Aiom (è possibile rivederla sui canali social della società scientifica).
Snellere le procedure burocratiche per garantire equità
“L’accesso anticipato ad alcune terapie rappresenta una grande opportunità nonché un diritto per i pazienti oncologici”, spiega Massimo Di Maio, Segretario Nazionale Aiom: “Sono trattamenti assolutamente sicuri e di comprovata efficacia, in quanto hanno già avuto un parere favorevole da parte delle autorità europee. Il loro utilizzo deve essere senza dubbio regolamentato da regole precise, per garantire sempre la salute del malato e tutelare il lavoro dello specialista. Dalla nostra indagine però emergono delle oggettive problematiche procedurali per tutte e tre le norme vigenti in Italia. Per quanto riguarda, per esempio, le richieste al fondo 5%, l’Aifa deve necessariamente rispondere ad ogni domanda, valutando il singolo caso. Il riscontro può arrivare in tempi variabili, a volte anche dopo oltre un mese, e questo rischia in alcuni casi di essere un tempo d’attesa troppo lungo. Quando richiediamo l’accesso anticipato ad un farmaco è molto spesso per curare tumori in stadi avanzati, spesso dopo il fallimento delle terapie standard. Il nostro auspicio è che l’Aifa riesca ad accelerare i tempi di approvazione”.
Migliorare l'informazione per migliorare l'accesso alle terapie innovative
Dal sondaggio, però, emerge anche che non sempre gli oncologi sono adeguatamente informati sull’early access. Il 19% sostiene di avere un aggiornamento insufficiente sui programmi di expanded access e uso nominale: vale a dire con un farmaco fornito gratuitamente dall’azienda farmaceutica. Il 26% afferma di non essere preparato in modo adeguato sulle norme che regolano il Fondo del 5%, e il 15% per quanto riguarda invece le richieste di un farmaco off label. “Sono necessarie attività di formazione specifiche per tutti i medici oncologici”, sottolinea Giordano Beretta, Presidente Nazionale Aiom: “Quello dell’early access è infatti un aspetto della nostra professione in continua evoluzione e che richiede un costante aggiornamento. Il rischio concreto è che vi siano delle disparità di opportunità di cura per i pazienti assistiti nelle varie strutture sanitarie. Più un oncologo medico sa destreggiarsi in questo ambito medico-burocratico complesso, più facilmente il malato potrà ottenere il prima possibile un farmaco innovativo”. E i dati potrebbero essere in realtà meno confortanti di così, dal momento che è possibile che al sondaggio abbia risposto soprattutto chi era già sensibile all’argomento dell’early access. Proprio per questo, l’Aiom avvierà nel prossimo futuro dei corsi specifici per gli oncologi.
Per il 2020 sono attese 377 mila nuove diagnosi di tumore nel nostro paese. Delle persone che hanno avuto una neoplasia in passato, si calcola che almeno una su quattro sia tornata ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarita. “E’ un risultato straordinario ed impensabile fino a soli pochi decenni fa”, sostiene Francesco Perrone, Membro del Direttivo Nazionale Aiom: “Tra i vari motivi di questo indubbio successo vi è anche la ricerca medico-scientifica, che ha permesso la messa a punto di trattamenti più efficaci e su misura del singolo paziente. Le terapie innovative devono però essere messe quanto prima a disposizione di tutti i malati e dei clinici. In passato, l’Aiom ha documentato come in Italia si possano riscontrare delle disparità nell’accesso ai farmaci anche a causa della regionalizzazione della nostra sanità”.
Il ruolo centrale del farmacista ospedaliero
Dal sondaggio presentato oggi emerge infine come sette specialisti su dieci giudicano buona la collaborazione tra gli oncologi e la farmacia ospedaliera nell’ambito dell’early access. “E’ una cooperazione fondamentale”, aggiunge Emanuela Omodeo Salè, direttrice della Farmacia dell'Istituto Europeo di Oncologia (IEO): “Le procedure di richiesta dei farmaci devono essere semplificate e i tempi di risposta da parte di Aifa vanno accorciati. Occorre però lavorare anche a livello di ogni singola struttura sanitaria, per individuare le migliori modalità di richiesta e la gestione dei trattamenti innovativi. Come specialisti abbiamo un’esperienza diretta maturata sul campo e siamo disponibili ad avanzare proposte concrete. Inoltre i farmacisti ospedalieri sono da sempre coinvolti nelle procedure di approvvigionamento dei farmaci, questa expertise maturata nel tempo rappresenta oggi un valore che possiamo condividere aiutando gli oncologi a destreggiarsi tra le procedure di attivazione di fondi e richieste specifiche”. In questo modo si potrebbe contribuire ridurre la variabilità tra centro e centro nell’accesso ai farmaci, in maniera equa per tutti i pazienti.
“Non dobbiamo dimenticare – conclude Salè – la possibilità di utilizzare al meglio programmi di uso compassionevole come previsto dal DM 7 settembre 2017, che possono permetterci l’accesso per casi definiti a farmaci anche in via di autorizzazione. Questa può essere una ottima opportunità per i pazienti di avere trattamento innovativo, e per i clinici per rafforzare l’esperienza acquisita durante la sperimentazione in un contesto di pratica clinica real life”.
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