Ancora un attentato in piena Kabul, ancora un politico nel mirino. Stavolta è toccato a Khan Mohammad Wardak, che però è sopravvissuto alla bomba e non è in grave condizioni: altri nove, fra passanti e staff del deputato, hanno perso la vita, mentre i feriti sono una ventina. Nessuno ha rivendicato la responsabilità dell'attacco. Anzi, i talebani nelle ultime settimane hanno preso le distanze dallo stillicidio di agguati che tormenta la capitale. Al contrario, a rivendicare gli attentati è spesso l’Isis Khorasan, la sezione afgana del gruppo terrorista che vorrebbe strappare agli “studenti coranici” l’egemonia della Jihad.
Ma se la violenza dell’Isis-K si rivolge spesso verso i civili, in particolare su obiettivi sciiti come la minoranza hazara, o sulle postazioni delle forze occidentali, come la base Usa di Bagram, presa di mira ieri con lancio di razzi, in realtà gli attacchi verso i “quadri intermedi” dell’Afghanistan sembra una strategia precisa dei Talebani.
L’idea, sottolineano gli analisti, è quella di indebolire il fronte governativo senza però alzare il tiro, perché l’attacco a obiettivi eccellenti provocherebbe un’interruzione seria del processo di pace. Lo stesso presidente Ashraf Ghani ha puntato il dito contro l’organizzazione guidata dal mullah Akhundzada, sottolineando che il processo di pace non può andare avanti se i talebani non accettano un cessate il fuoco.
Ma l’attenzione degli integralisti è concentrata sul ritiro delle forze occidentali, che per ora non è operativo, ma allo stesso tempo non è messo in discussione dalla strategia di attentati a personaggi di medio livello. L'attacco agli apparati statuali si affianca, nei territori controllati dai talebani, a una strategia di progressivo ampliamento degli interventi “giudiziari” paralleli, così da preparare il terreno a un ritorno, almeno parziale, alle regole dell’Emirato. In altre parole, alla versione più radicale della sharia.
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