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Profondo nero: com’è horror la Sicilia

Pur priva di brughiere e di facciate palladiane, la Sicilia ha un’anima nera, tremendamente gotica, che il suo sole pertinace non riesce a esorcizzare. Ci vuole poco per trasmutarsi, da eden profumato e rassicurante in una contrada inospitale dell’Ade. Per averne prova basta sfogliare “L’Isola delle tenebre. Storie siciliane dell’orrore” (Algra editore, 245 pagine, 15 euro), un’antologia curata da Giuseppe Maresca e Luca Raimondi che allinea sedici racconti grondanti sangue (forse in quantità eccessiva) e terrore: a Natale le famiglie potrebbero riunirsi per leggerle ad alta voce, come accadeva una volta nella perturbante Inghilterra. Nulla di nuovo, gli stessi curatori nella nota introduttiva giustamente chiamano in causa padrini nobili quali Verga, Capuana, ma pure Pirandello e Savarese, calamitati dal mistero.
A rinvigorire questa sottile vena d’inchiostro ci hanno pensato scrittori isolani affermati come pure emergenti di belle speranze, tutti quanti nelle vesti di visitatori dell’inferno. Ci vuol poco, infatti, a imbattersi nel demonio, che la fa da gradasso nelle pagine di Corrado Artale, Giovanni Marchese, Piergiorgio Di Cara e Antonino Genovese. Nel racconto del primo la spiaggia di Noto Marina diventa il palcoscenico di un sontuoso rito esoterico, con tanto di evocazione di Belzebul annunciata da una copiosa epifania di ratti. Marchese ambienta l’evocazione demoniaca, agevolata da uno studioso straniero di filologia medievale, in una Catania negromantica dove, tra l’altro, il pachiderma di basalto non sta più al suo posto. Di Cara firma il racconto più sperimentale della raccolta facendo leva su uno dei temi più cariati della letteratura gotica, ossia la casa animata, che questa volta sorge minacciosa a ridosso di un paesino sperduto dei Nebrodi. Nelle pagine di Antonino Genovese poi una donna che parla coi morti annuncia al maresciallo scettico della caserma di Barcellona Pozzo di Gotto un’apocalisse demoniaca prossima ventura: qui Satana si muove in treno senza, però, pagare il biglietto.

A proposito di case poco ospitali, Eleonora Lombardo nel “Caro estinto” ambienta la sua storia in una magione palermitana sontuosa e arcana dominata dal silenzio dell’aldilà, una sorta di angolo d’inferno dove la protagonista, pericolosamente incuriosita da una porta che deve assolutamente rimanere chiusa, sperimenta “l’orrore amniotico” dell’assenza di risonanza; mentre Giuseppina Norcia svela il mistero della contessa, custodito in una vecchia casa attaccata al cimitero di Mascalucia. Ci sono poi boschi, a Caltagirone e Agrigento (dove ci si può imbattere in Pino Torrisi, che più volte va incontro alla morte sulla Statale 115 da redivivo impenitente nel racconto di Stefano Amato), che sarebbe meglio non lambire perché mal frequentati, come narrano Federico D’Amore nel “Suglio” e Roberto Azzara in “Riflessi di nebbia”; ma anche certe coste andrebbero evitate: ne sa qualcosa Giuseppe Maresca che in “Nostra signora degli annegati” allude a una creatura assetata di sangue, l’Hydra, che vive nel mare da prima che l’uomo comparisse sulla terra. Non poteva poi mancare un maniero, teatro di un’appassionante storia d’amore, con tanto di sagoma della castellana infelice ed esanime pronta a tornare in vita nel racconto di Roberto Mistretta.
Nella mappatura del soprannaturale di questa antologia, Siracusa occupa un posto di tutto rispetto: coi suoi mattatoi di cavalli abusivi, che Angelo Orlando Meloni fa frequentare da potenziali e giovanissimi macellai ma di carne umana; col cane di razza infernale (“Il mastino dei Baskerville” docet) quale sentinella mitica nelle pagine di Luca Raimondi; col certificato di morte che Salvo Zappulla fa recapitare al presunto trapassato ancora in vita; con l’ipogeo che pare inghiottire le sue vittime in piazza Duomo a Ortigia (Luciano Modica). Tra Lentini e Carlentini, infine, Giusy Sciacca fa muovere Mara, “fimmina di focu” che officia riti di iniziazione.Original Article

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