Pierfrancesco Favino ritrova il ruolo di D’Artagnan, il francese maccheronico e l’anima infantile in Tutti per 1 — 1 per tutti, il nuovo capitolo che Giovanni Veronesi dedica alla saga dei moschettieri — stavolta sono in tre, tornano Valerio Mastandrea e Rocco Papaleo, manca Sergio Rubini — e che sarà l’appuntamento di Natale il 25 dicembre alle 21.15 su Sky e Now Tv, poi on demand.
Come spesso gli succede, l’attore romano, 51 anni, è il più entusiasta del gruppo: «Voglio bene a D’Artagnan, gli sono legato. Appartiene alla parte ironica di me, senza la quale non sarei in grado di fare neanche gli altri ruoli, più “nobili”, perché con lui non c’è mai quell’attenzione, anche autocensoria, che capita quando tratti qualcosa di più strutturato».
In più è amato dai bambini.
«Mi fermano in strada chiedendomi di parlare in quel modo, lo fanno anche le mie figlie e i loro amici. Capiscono che non sono io che faccio il bambino, ma che lui è un bambino. Quando è uscito il primo film, io ero in Brasile girando Il traditore, mia figlia grande mi disse “stavolta mi hai sorpreso”».
I moschettieri in tv il giorno di Natale. Favino, Mastandrea e Papaleo: "Torniamo ragazzini"
Sul set con Anna Ferzetti, sua moglie. C’è anche una scena in cui lei le chiede di giocare a lupo e pecorella…
«È stato divertente e c’è una grande stima professionale che abbiamo testato anche a teatro. Le nostre figlie sono già abbastanza abituate a vederci fare gli scemi. Diranno “ma che avete fatto, siete matti?”. Ma sarà bello per loro vederci insieme, come lo è stato per noi».
Con Papaleo e Mastandrea è cresciuta l’amicizia. Manca Rubini.
«L’amicizia si è cementata, complici le condizioni di lavoro durante la pandemia abbiamo vissuto insieme 24 ore al giorno, condiviso cose personali come si fa con gli amici. Questo sul set si è tradotto in una sintonia che non aveva quasi bisogno di copione e che Veronesi ama. Mi spiace non ci sia Sergio, lo stimo molto ma alcune cose non hanno coinciso e certe dinamiche appartengono alle saghe».
Che regalo vorrebbe per Natale?
«Il mio auspicio è che Babbo Natale mi porti la possibilità di entrare nei teatri, cinema, musei e concerti. Non sono un politico e non mi voglio sostituire a nessuno in questo momento di grande incertezza. Ma è da circa quattro mesi che non sento più una parola su cinema e teatri. Si dà per scontato che siano chiusi e vedo che crescono i contagi per i centri commerciali aperti. Non sono un negazionista e non penso che si possa allentare la cinghia ma se vogliamo che quei teatri e cinema siano pieni nel futuro dobbiamo capire che l’identità degli italiani del futuro si costruisce anche con l’insegnamento, a scuola, di teatro e cinema. Non significa fare le piattaforme. Abbiamo i teatri più belli del mondo, che ci facciamo dei garage? Qual è il progetto? Che dobbiamo stare tutti sui divani?».
Questo vostro film pensato per la sala si vedrà in tv.
«Sì, in questo Natale minore che vivremo sono felice che possa accompagnare e portare leggerezza alle famiglie. Oggi è logico ragionare sulla pluralità delle piattaforme, che però non dovrà diventare un’oligarchia».
Come passerà il Natale?
«Secondo le regole. Noi e le nostre mamme. La mia, Stella, ha compiuto da poco novant’anni. Il giorno del compleanno con le mie sorelle siamo andati sotto il balcone e le abbiamo fatto una serenata, cantato La prima cosa bella. A Natale di solito cucinavo per trenta persone. Ora saremo solo noi, Anna e io a confrontarci sulla frittura pugliese e romana».
Il Natale più difficile?
«È stato il primo senza papà, quello del 2002, molto triste.
Alti e bassi professionali?
«Non sono uno che ha mai mollato, difficilmente sono stato con le mani in mano: quando non lavoravo imparavo una lingua o a suonare uno strumento. Oggi è un momento felice ma non lo ritengo scontato».
In che film la vedremo nel 2021?
«Una commedia romantica, Corro da te, sulle diverse abilità. Di Riccardo Milani, con Miriam Leone. Ho fatto poche commedie, eppure sono un grande romantico».
Un musical?
«Sarebbe straordinario. Magari qualcosa che si inserisca nella tradizione italiana».
Restando sul musicale. Tornerebbe a Sanremo?
«Seguo il Festival con riconoscenza. È stata una cosa importante perché mi ha fatto intercettare un pubblico che mi conosceva solo per alcune cose, per la libertà che mi ha dato di avere la sicurezza della mia insicurezza. Però è come quando fai una vacanza bellissima e sai che se poi la rifai e non è come prima. Il ricordo è talmente bello che ho paura di rovinarlo. Magari sarebbe migliore, ma certi ricordi ti piacciono così».
Che significa la sicurezza dell’insicurezza?
«Tutti, quando mi arrivò la proposta, mi fecero capire che era una cosa scivolosa. Se avessi seguito la paura non lo avrei mai fatto. Mi sono preso il rischio, come chi ha creduto in me, a partire da Claudio Baglioni e dalla Rai. Ha cambiato la percezione del pubblico nei miei confronti, mi ha regalato un affetto che ricambio, influenzato il modo in cui dopo hanno guardato i miei film. C’è una generazione di attori che abbiamo considerato parenti e succede quando hai accesso all’intimità delle persone, che oggi è rappresentata dalla tv. Un tempo era il cinema. Gassmann, Sordi, Mastroianni, Tognazzi e Vianello, Manfredi passavano per la tv ed erano capaci di prendersi in giro. È cambiata l’Italia e la risonanza di questo mestiere nella collettività. Ma, come abbiamo visto con l’addio a Gigi Proietti, senti che quando viene a mancare uno di loro se ne va una parte di te. Questa parte si costruisce in quell’intimità che un po’ mi ha regalato Sanremo. Rara e insostituibile».
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