C'è chi ha detto che la pandemia è un evento anti letterario. Gli scrittori avrebbero faticato a raccontarla. Michel Houellebecq nei giorni del primo lockdown l'ha definita una catastrofe "noiosa". Mentre se ne discuteva, però, Francesca Cavallo era già all'opera. L'autrice di tante favole bestseller già ad aprile ha reso disponibili gratuitamente in rete le prime pagine di una storia sulle origini del coronavirus destinata, con l'aiuto del crowdfunding, a un grande successo. Si chiama Il dottor Li e il virus con in testa una corona (Feltrinelli), è illustrata da Claudia Flandoli ed è dedicata all'eroismo dell'oculista Li Wenliang. A lui dobbiamo tutto: è l'uomo che con coraggio ha sfidato la censura cinese per allertare il mondo del pericolo di un nuovo virus, prima di caderne vittima lui stesso. Ma nel libro c'è pure un secondo protagonista: una bambina americana, May, che vive il lockdown dall'altro capo del globo e apprende, sul modello di Wenliang, che si può aiutare il prossimo anche quando sembra impossibile. Persino dall'isolamento della propria stanza.
"Scrivere questa storia mi ha dato grande sollievo", confida per telefono Cavallo a Repubblica, ormai a Roma dopo aver lasciato a marzo Los Angeles, dove viveva. "Quando l'ho condivisa in rete mai avrei immaginato che la scaricassero subito in 60 mila e che i volontari la traducessero in 38 lingue". Ben più delle Storie della buonanotte per bambine ribelli, che inventò a suo tempo con Elena Favilli. Il bisogno di una narrazione sul virus accomuna tutte le famiglie del mondo.
Perché ha scelto di raccontare la pandemia prima ancora che sia conclusa?
"Noi adulti sappiamo che l'epidemia non durerà in eterno. Ma questa è una prospettiva che deriva dall'esperienza e ai bambini manca. Molti di loro coltivano un senso di quieta disperazione, che spesso non è visibile. Volevo che questo libro fosse un luogo in cui si potessero sentire al sicuro e attraverso l'esperienza di May, la coprotagonista, potessero farsi un'idea carica di speranza su come questa storia può andare a finire".
Lei trae già degli insegnamenti importanti dal coronavirus con una lucidità che sfugge a molti scrittori per adulti. Nell'epigrafe in poche righe tira le somme di questa tragedia e in maniera convincente nota: "Abbiamo scoperto che quando uno cade tutti cadiamo. E quando una si rialza ci rialziamo tutti".
"La chiarezza è alla base del mio lavoro. Noi adulti ci appassioniamo di più al modo in cui presentiamo i fatti che all'essenza degli oggetti. Ciò che mi piace e commuove della scrittura per bambini è invece il dover stare vicini alla cosa e mettere l'orecchio al cuore di una vicenda, riportandola nella maniera più diretta possibile. È un esercizio di grande umiltà, che mi aiuta a non essere paternalista e che svolgo sempre nell'ottica di coltivare un atteggiamento positivo di speranza. Mi occupo spesso di temi pericolosi, di confine, che di solito si sceglie di non raccontare e verso cui invece nutro un'attrazione irresistibile. Ma sarebbe colpevole da parte mia lasciare i bambini in preda alla disperazione".
Nel libro parla anche del negazionismo di chi rifiuta di proteggere se stesso e gli altri dal virus o di accettare realtà scomode come il cambiamento climatico. I bambini possono essere negazionisti come gli adulti?
"I bambini lo sono nella misura in cui lo sono i genitori. Lo sono se in famiglia sentono dire che il virus è stato creato da qualcuno in un paese lontano per tenerci sotto scacco. Io mi interrogo su cosa può voler dire per un figlio o una figlia, che non ha strumenti per difendersi da questa narrazione, vivere con l'idea di essere una persona in un mondo in cui un piccolo gruppo di potenti può decidere così tanto della tua vita, mentre tu sei in balia di volontà che rimarranno per sempre imperscrutabili. Ho scritto questo libro anche per provare a proteggere i bambini da tutto questo. È un peso enorme sulle spalle della nostra democrazia. Come possiamo sperare che resti in salute? Questa è protetta quando i cittadini sanno di poter usare il proprio intelletto, la scienza e la storia per capire ciò che succede intorno a loro. Ma allevare la generazione cosiddetta 'Covid' con la percezione che il mondo sia un posto imperscrutabile e incomprensibile è un autogol clamoroso che può fare gioco soltanto ai leader autoritari del futuro. È l'aspetto che più mi spaventa dell'esposizione dei bambini al negazionismo".
Perché è ricorsa al crowdfunding?
"Feltrinelli se ne sarebbe occupata anche subito, ma con l'editoria tradizionale un libro illustrato impiega molto tempo per uscire. E poi il crowdfunding risponde a un mio bisogno di libertà, che si traduce nella possibilità di mettermi subito in relazione con il mio pubblico internazionale. Fa parte della mia ricerca, sia come imprenditrice della mia nuova società con cui pubblico negli Stati Uniti, Undercats, sia come autrice in cerca di un'editoria che nasca dalle persone".
Come si spiega il fatto che una delle primissime narrazioni sul Covid sia arrivata dalla letteratura per l'infanzia?
"Dal mio punto di vista tutto parte dalla narrativa per l'infanzia, nonostante sia ritenuta ancillare a quella per adulti. Avevo anch'io questo pregiudizio. Ho fatto un po' di fatica ad abbracciare la mia identità di scrittrice per bambini. Ma non siamo la serie B della letteratura. Le storie che noi leggiamo da piccoli hanno molta più importanza di quelle con cui veniamo a contatto da adulti. Per questo la missione della mia società è di offrire una visione della realtà che tenga conto della diversità. Solo così sradicheremo all'origine certe ideologie, dal razzismo all'omofobia alla misoginia (in Elfi al quinto piano, la fiaba di Natale dell'anno scorso, i protagonisti sono una coppia omosessuale con figli, ndr.). Altrimenti passa l'idea che l'essere umano nella sua condizione naturale sia solo un maschio etero bianco. Perciò non è un caso che una delle prime operazioni letterarie sul virus, la mia, sia rivolta ai piccoli, ma riflette questa mia convinzione, per cui tutto parte dalla letteratura per l'infanzia. Né posso credere che si possa trovare noiosa una crisi come questa. È cambiato tutto. A me, per esempio, la pandemia ha portato via l'America come quel luogo dell'anima nel quale coltivare i miei sogni, perché ha rivelato in modo così impietoso il suo cinismo e i limiti del suo individualismo, sebbene comunque ci tornerò. Non è un periodo arido, questo, anzi, è estremamente ricco, sia a livello di viaggio interiore che di svelamento di dinamiche planetarie. Se uno scrittore di questa generazione non ne viene cambiato in maniera radicale, forse è molto poco in sintonia con il resto del mondo. Da un punto di vista letterario è oro".
Ha avuto dei contatti con cittadini cinesi, espatriati o attivisti, prima o dopo l'uscita della sua storia?
"Sì, in particolare con una coppia di espatriati cinesi a New York, tra i donatori più generosi della campagna di crowdfunding. Hanno comprato più di cento copie del libro per distribuirle alla comunità. Un editore di Singapore ha pubblicato la fiaba in cinese semplificato, una delle lingue in cui è uscita in contemporanea oltre all'italiano, all'inglese e al filippino. E poi ho avuto contatti con un gruppo di attivisti cinesi in Italia, quando ho postato in rete la prima parte della storia su Li Wenliang, per capire come aggirare il firewall e fare in modo che fosse scaricabile anche in Cina. Da quello che mi hanno detto nel Paese c'è una censura totale per i libri sul coronavirus. In America, invece, molti hanno apprezzato che si onori un medico cinese come uno degli eroi della pandemia. Negli USA ha un valore gigantesco, visto che Trump ha parlato di 'Kung flu', associando il volto degli asiatici al virus".
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