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Il mistero dell’etiope Gidey: la primatista dei 5mila dispersa nel Tigrai in guerra

Missing. Scomparsa. Letesenbel Gidey, la regina del mezzofondo, non si trova. Contatti interrotti. È la primatista mondiale dei 5mila metri, medaglia d’argento ai mondiali di Doha nei 10mila, insomma l’atleta a cui dare la caccia ai Giochi di Tokyo. Solo che la caccia la stanno dando a lei. Non c’è solo il virus ad allontanare e ad isolare le persone, ma anche la vecchia guerra. Quella che spara, bombarda, ammazza. Sotto a chi tocca, anche se hai una medaglia al collo. Gidey ha 22 anni, è una ragazza etiope che a ottobre a Valencia, in Spagna, nei 5mila metri ha migliorato di quasi 5 secondi un tempo che stava fermo da 12 anni.

Ma è anche etiope, è nata a Endameskel nel Nord della regione del Tigrai che confina con Sudan ed Eritrea e dove c’è una guerra, anche se oggi si usa la parola conflitto, con mezzi blindati, aerei e migliaia di soldati, tra l’esercito federale etiope e le forze locali (Tplf) che governano la zona, da sempre determinante. Dal Tigrai è partita la resistenza contro la dittatura di Mengistu, l’uomo che nel 1974 aveva rovesciato l’imperatore Haile Selassie. Dopo aver vinto nel 1991 il Tplf è rimasto al potere per 17 anni, guidato da un uomo forte, Meles Zenawi, che ha introdotto il federalismo nel Paese. Nel 2012 la morte di Zenawi ha segnato l’inizio dei problemi per i tigrini, messi ai margini dopo l’arrivo di Abiy nel 2018. Ci sono almeno 30mila persone in fuga verso il Sudan e nei prossimi sei mesi il numero potrebbe salire a 200mila.

L’Etiopia, infatti, è il secondo Paese africano per popolazione. Gidey, che è gestita professionalmente da un gruppo olandese, era attesa sempre a Valencia per una mezza maratona, ma non è mai salita sull’aereo che doveva portarla in Europa. Marc Roig, organizzatore spagnolo: «È da metà novembre che non abbiamo più sue notizie. La città di Mekelle, capitale del Tigrai, sembra sia stata riconquistata dalle forze governative, ma le linee di comunicazione sono interrotte e anche se sei una campionessa della corsa non puoi salvarti se sei in una situazione di pericolo» Jos Hermens, l’agente olandese, crede che la sua atleta sia salva da qualche parte, ma isolata. Mekelle si trova a 2.500 metri d’altitudine, in una regione montuosa difficile da raggiungere. Federico Rosa, altro agente di atleti africani, dice che il problema non è solo di Gidey: «Io lì ho un ragazzo di 19 anni, molto forte, Berhiu Aregawi, bronzo nei 10mila ai mondiali juniores, che sta cercando di uscire dal Paese, perché ha delle competizioni all’estero, ma non riesce ad arrivare ad Addis Abeba e non ho capito se si è unito a dei profughi che stanno scappando verso il Sudan».

C’è chi è abituato a correre in corsia e pensa che l’affaticamento muscolare sia il solo problema, c’è chi scappa dalle bombe che è l’unico modo per salvarsi. E pensare che a Gidey, ultima di quattro figli, non piaceva correre tanto che a 13 anni fu espulsa da scuola perché si rifiutò di partecipare a una campestre e fu riammessa solo a condizione che accettasse lo sport. «Non avessi avuto subito buoni risultati non mi sarei accorta di essere un talento». Lo sport offre spesso possibilità. Samia Yusuf Omar, ragazza somala, ai Giochi di Pechino nel 2008 fece la portabandiera e corse i 200 metri con fierezza. Ultima nelle batterie. Ma il pubblico applaudì lo stesso: Samia veniva da Mogadiscio, da molta povertà, la più grande di sei figli, madre fruttivendola, padre ucciso nella guerra civile.

Quell’esperienza olimpica le era piaciuta, e voleva rifarla, allenandosi in un Paese normale. Sembrava la scelta giusta, l’inizio di un riscatto. Samia non ce l’ha fatta: è morta a 21 anni, incinta, nelle acque di Lampedusa mentre su una piccola barca cercava di raggiungere l’Europa per qualificarsi alle Olimpiadi. Era il 2012. Aspettando segnali da Gidey.

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