MAZARA DEL VALLO – "All'inizio, ci hanno rinchiusi in un bunker sottoterra, ma Giacomo e Bernardo non c'erano. "Che gli è successo?", ci siamo detti. All'improvviso, li abbiamo visti arrivare con il volto insanguinato". La voce di Fabio Giacalone rimbalza via radio dal peschereccio Antartide in navigazione al largo della Libia fino al porto di Mazara. "Li hanno picchiati – dice – perché le loro barche erano riuscite a scappare. Un affronto per i libici".
Quel drammatico primo settembre, furono fermati non solo Medinea e Antartide, ma anche Anna Madre e Natalino. I comandanti vennero convocati sulla motovedetta con i documenti delle imbarcazioni. Poco dopo, due pescherecci riuscirono a fuggire. "E se la sono presa con Giacomo e Bernardo", sussurra Marika Calandrino, la moglie di Giacomo Giacalone, il comandante di Anna Madre: "Già quando era arrivata la prima fotografia dalla Libia dopo il sequestro avevo capito. Mio marito aveva il volto gonfio, un occhio quasi chiuso, e il collo rosso. Quando ci siamo sentiti dopo la liberazione gli ho chiesto subito: "Tutto bene?". E mi ha fatto capire che era successo qualcosa di brutto". Il cognato di Bernardo Salvo, Vito Gancitano, è amareggiato: "Lui non è neanche il comandante del Natalino, è il timoniere. Quando i libici li hanno fermati, si è ritrovato ad andare a bordo della motovedetta. Lo avranno scambiato per il comandante, e su di lui si sono vendicati". Anche la famiglia di Bernardo Salvo ha capito guardando le prime fotografie giunte in Italia dopo il sequestro: "Fino ad oggi non abbiamo detto nulla – spiega Vito – il momento era delicato, ma in quelle immagini si vedono chiaramente il viso gonfio e un braccio nero. Ora vogliamo sapere cos'è successo".
Il padre di Fabio Giacalone, Pietro, anche lui pescatore per tanti anni, stringe i pugni mentre il figlio racconta ancora dei suoi compagni col volto insanguinato. "Perché dalla Farnesina continuavano a dirci che i nostri ragazzi erano trattati bene? – si arrabbia – Non era vero". Il fruscio delle "onde corte" porta altri racconti drammatici. "Gli italiani li hanno infilati tutti in una stanza buia, larga quattro metri per quattro", dice ancora Fabio Giacalone. "Subivamo continue umiliazioni e violenze psicologiche. Arrivavano nel cuore della notte e ci urlavano: "Adesso, vi liberiamo". E invece ci portavano in un'altra prigione. Quattro ne abbiamo cambiate, i tunisini di più. Solo nell'ultimo mese, ci hanno trasferiti in un palazzo, che era un posto più decente". La voce va e viene, la comunicazione è disturbata. Il papà di Fabio non si dà pace: "L'avevo detto a mio figlio che non dovevano spingersi fin lì, è troppo pericoloso. L'avevo detto la sera prima della partenza. E, poi, mentre erano in viaggio, ho visto sul computer dov'erano arrivati, ho subito chiamato il comandante per metterlo in guardia". Ora, sulla stessa frequenza corrono anche i racconti di Piero Marrone, il comandante del Medinea: "Ce la siamo fatta addosso per lo spavento – dice all'armatore, Marco Marrone – pensavamo di non farcela. Dentro quelle celle buie ci hanno trattato come se fossimo dei terroristi, umiliazioni su umiliazioni. Adesso, siamo tanto stanchi e abbiamo solo bisogno di tornare a casa". L'armatore chiede: "Vi facevano mangiare?". Risponde: "Solo un pasto decente abbiamo fatto, la mattina che è arrivato Conte". E con i vestiti come vi siete organizzati? "Siamo rimasti con le stesse cose per settimane. Poi qualche detenuto, che era lì chissà per cosa, ci ha dato magliette, mutandine e un pezzo di sapone".
La navigazione è ancora lunga. "Arriveranno domenica mattina – spiega Marco Marrone – e sarà una grande gioia". Prima di riabbracciare i loro familiari, però, i pescatori dovranno essere sottoposti al tampone per il Covid. Solo se positivi, ci sarà una quarantena. "Sarà il Natale che abbiamo desiderato per cento giorni, tutti insieme a casa", dice Marika Calandrino.
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