È uno dei pochi non calciatori cui è intestato uno stadio, quello di Modena, ed è stato uno dei più grandi ginnasti italiano, capace di vincere l’oro in almeno due diverse competizioni olimpiche. Eppure a rendere straordinaria la vita dimenticata di Alberto Braglia non è stato questo. Lo racconta ora “L’atleta del re” del giornalista modenese Stefano Ferrari, che ha firmato per Minerva una biografia romanzata, narrata in prima persona. « Ero stanco – spiega ironico – di sentirmi chiedere se Braglia fosse stato un famoso calciatore. Ma soprattutto, mi ha colpito quanto un uomo possa cadere e rialzarsi fino agli ultimi istanti».
Il nostro eroe nasce nel 1883 a Modena e capisce presto che madre natura lo ha dotato di un fisico straordinario. Pensa alla corsa, ma la sua strada è la ginnastica. «Solo che è talmente povero – osserva Ferrari – che si costruisce da sé gli attrezzi con quel che trova nel fienile di famiglia, tanto che imparerà a giostrarsi sul cavallo solo con la forza delle mani, reggendo il peso del corpo con le dita, senza appigli». La prima gara è a Bologna, allo Sferisterio, dove arriva ultimo; quattro anni dopo, però, a Firenze sbaraglia tutti. Con i giochi olimpici intermedi di Atene del 1906 – organizzati per celebrare il decennale delle prime Olimpiadi moderne – arriva la grande occasione, che coglie conquistando due medaglie d’argento. Al ritorno, Modena lo vuole celebrare ma lui sbaglia il giorno e alla stazione non trova nessuno. «Poco importa – osserva l’autore perché a invitarlo a Roma per conoscerlo è il re Vittorio Emanuele III » . E qui viene il bello. « Dica Braglia, cosa posso fare per lei? Non esiti, lei ha fatto grande il nostro Paese, io in quanto Re degli italiani voglio sdebitarmi », gli dice il monarca nel libro. Braglia ci pensa e risponde: « Maestà, voglio un posto da operaio alla Manifattura Tabacchi di Modena».
Poteva avere di più, ma moglie e figlioletto festeggiano, quel lavoro vale più di mille medaglie per chi deve riempirsi la pancia. È questo il periodo più felice della sua vita, l’unico. Di giorno lavora, la sera si allena per le Olimpiadi di Londra, dove, nel 1908, trionfa in tutte le specialità. « Solo che allora non esistevano gli sponsor e quando torna a Modena ha un’amara sorpresa: licenziato per troppe assenze. Inoltre di lì a poco perde il figlio per malattia. E cade in depressione » . Quando si rialza, per sbarcare il lunario accetta di lavorare come saltimbanco, cosa proibita agli atleti professionisti. Ma il campione deve mangiare, a costo della squalifica, che non tarda ad arrivare. « Riuscirà a farcela ancora, verrà riabilitato e colpo di scena a Stoccolma nel 1912 sbalordisce gli spettatori, al punto che i giudici gli assegnano, caso unico nella storia delle Olimpiadi, la vittoria senza punteggio ma solo con tre giudizi: “sbalorditivo”, “eccezionale”, “fantastico” ».
È un trionfo, ha vinto tutto quello che poteva, ora può tornare a dare spettacolo in circhi e teatri. E finalmente guadagnare. Sarà Fortunello, nel numero ispirato dalla striscia di Sergio Tofano, del Corriere dei Piccoli. Un successo strepitoso, al punto che si esibisce negli Stati Uniti, a Buckingham Palace, alla corte dello Zar. La moglie se ne è andata, ma ad attenderlo è una vecchiaia se non serena perlomeno agiata. È la Seconda guerra mondiale a metterlo ancora una volta al muro. « Con i bombardamenti su Modena perderà tutte le proprietà e alla fine del conflitto di lui si perde ogni traccia. Lo credono morto».
Nel 1947, Mario Morselli, un giornalista della Gazzetta dello sport, in pieno centro a Modena, lo riconosce. Non ha più nulla, vive da barbone, solo, in strada. « La città è sgomenta, incredula – conclude Ferrari – per risarcirlo gli offrono di fare il custode nella palestra della società Panaro dove si allenava da giovane che, ironia della sorte, è intestata a lui » . Morirà di un’emorragia cerebrale nel ‘ 54, nel ‘ 57 gli sarà intitolato lo stadio. Ha speso gli ultimi anni a insegnare ai giovani come si diventa ginnasti. Senza appigli.
Commenti recenti