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Un milione di ragazzi a rischio alcolismo: “Colpa del lockdown”

Alberto è un grafico pubblicitario di Monza, 54 anni. Dalla primavera scorsa in smart working. Quando andava in ufficio, durante la pausa pranzo, beveva acqua naturale e andava tutti i giorni in palestra. Adesso che è a casa, 2 bicchieri di vino rosso e poi un amaro, spesso un altro ancora. La sera poi finisce la bottiglia, però giura: “E’ tutto sotto controllo”. La moglie ha chiesto aiuto, dice che diventa nervoso, è aggressivo coi figli. Giulia e Maurizio, coppia quarantenne di Parma, ha cominciato durante il lockdown con l’aperitivo in salotto: gin tonic e patatine prima di un film su Netflix. Volevano solo celebrare la libertà di stare insieme, finalmente lontani dall’ufficio. Ora la spesa al supermercato è quasi tutta per l’alcol. Se ne sono resi conti: hanno paura. Luca, trentunenne elettricista di Genova: era in cura per la dipendenza di alcol e droga, da 4 anni niente più passi falsi. In aprile, durante la quarantena, la madre lo ha trovato sulla terrazza del palazzo dove vivono: svenuto, con accanto due bottiglie di liquore. Vuote.

Tre piccole storie, ma sono almeno dieci milioni. Dicono che l’alcol sia il più antico psicofarmaco della storia. Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, dall’inizio della pandemìa il consumo nelle case italiane è aumentato dal 180 al 200%. Inevitabile o quasi, considerando che un italiano su 3 ha sviluppato sintomi di depressione legati al Covid (dati della Società Italiana Neuropsicofarmacologia). Però attenzione, perché nel 2019 gli italiani che facevano uso di alcol rappresentavano già il 66,8% della popolazione: 36 milioni. Di questi, quelli “a rischio” di dipendenza erano 8.700.000, di cui 2 milioni e mezzo di donne. Numeri Istat. Oggi parliamo di oltre 10 milioni di persone, e troppe vite in pericolo. La Società Italiana di Alcologia ha calcolato un aumento del 15% nelle dipendenze da alcol, nella metà dei casi con manifestazioni psico-patologiche. E il 20% dei pazienti che ne erano usciti, sono ricaduti nel tunnel. I minorenni che bevono erano 800.000 un anno fa, ora hanno superato il milione.

Gianni Testino, professore e presidente della Società Italiana di Alcologia, conferma le cifre, le storie, l’allarme: “Fermiamoci, prima che sia troppo tardi”. Perché è vero: l’alcol è uno psicofarmaco. “E se l’individuo si sente un po’ confuso, in difficoltà, triste, alieno dai suoi soliti schemi – usiamo pure la parola depresso: ma non abusiamone – può provare a rifugiarsi nel bere”. Non sottovalutate la questione, per favore. “Sto parlando di persone che prima erano ‘a basso rischio’: che bevevano cioè non più di un bicchiere al giorno. Un bicchiere che oggi li anestetizza rispetto al malessere che sentono. Addirittura, restituisce loro euforia. E allora, meglio berne due”. Il problema è che il cervello si abitua in fretta ai cambiamenti. “Col passare del tempo, la mente continua a chiedere di aumentare la dose. Da un aperitivo o due, si arriva in fretta alla dipendenza”.

Meglio chiarire il principio di “rischio” da dipendenza di alcol, secondo un criterio adottato scientificamente. Il limite ufficiale sono 2 “unità alcoliche” al giorno per le donne, 3 per gli uomini. Una unità alcolica corrisponde a circa 12 grammi di etanolo: quantità contenuta in un piccolo bicchiere (125 ml) di vino di media gradazione (12°), o in una lattina di birra (330 ml) da 4,5°. O ancora, in una dose da bar (40 ml) di superalcolico. “E dunque, la donna a rischio è quella che in una giornata intera beve l’equivalente di 2 bicchieri di vino, o 2 lattine di birra, o 2 cocktail. Per gli uomini, la dose sale di una bevanda”. Testino, responsabile insieme alla collega Patrizia Balbinot del Centro Alcologico ligure dell’Asl, preferisce tenersi “basso” nelle valutazioni. “Perché in realtà anche una sola unità alcolica fa male: può aumentare il rischio di diverse malattie. Ma cerchiamo di essere tolleranti, non c’è nessuna caccia alle streghe. Però la situazione adesso si sta facendo molto grave. E ipocrita. Si invita al consumo responsabile, e al tempo stesso la pubblicità ci bombarda di inviti a bere, a ordinare buste di cocktail da consumare in casa. I produttori di alcol sostengono di aver ridotto le vendite, ma l’Istituto Superiore della sanità non mente: quel +200% è impressionante”. E’ una sfida difficile, contro una dipendenza subdola. Nella stragrande maggioranza dei casi di cui si occupa, i pazienti non sanno – anzi: rifiutano – di esserlo. “Ci sono manager, operai, impiegati, casalinghe, pensionati, insegnanti, giornalisti. L’alcol è uno psicofarmaco molto democratico, alla portata di tutti”.

Se la prende con Alberto Zangrillo, uomo di punta dell’ospedale San Raffaele di Milano e della sanità lombarda, “secondo cui un buon bicchiere di vino è quel piccolo premio che sta nella socializzazione e nella condivisione: ciò che ci manca in questa fase delle nostre vite”. Che errore. “Zangrillo lo ha detto parlando di ragazzi e movida. Sono parole molto gravi, perché è provato che la dipendenza aumenta in maniera esponenziale rispetto alla giovane età. Il consumo di alcol prima dei 20 anni nel 35-40% dei casi può poi portare a una dipendenza. Invece, se si comincia dopo i 25, la percentuale scende al 10%”. I numeri relativi ai minori sono davvero preoccupanti, insiste. “Il 48,3% dei maschi (e il 40,7% delle femmine) tra i 16-17 anni è a rischio”. La tabella indica anche un 9,7% tra gli adolescenti di 11-15 anni. Cita il fenomeno del ‘binge drinking’, il bere all’unico scopo di ubriacarsi: riguarda il 22,6% dei maschi (11,1% delle femmine) tra i 18 e i 24 anni, percentuale che resta comunque alta (18,8%) nella fascia 25-44. Le categorie in pericolo sono i giovani, e gli anziani: il 36,5% della fascia 65-74 è a rischio (il 10% tra le donne).

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Il primo passo è riconoscere che c’è un problema. Che abbiamo tutti un problema. Una dipendenza. “E la cura migliore è sempre parlarne: ammettere, confrontarsi con chi ha vissuto o vive la stessa – drammatica – esperienza. Farsi aiutare dalle altre persone, non dai farmaci. I gruppi di ascolto: è quella, la medicina migliore”.

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