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Ponte Morandi, la Procura ipotizza anche il reato di crollo doloso

Due sole parole, contenute nelle ultime ordinanze del Tribunale del Riesame di Genova a proposito dell'inchiesta sulle barriere anti-rumore, svelano la svolta nell'indagine sul crollo di ponte Morandi.
La contestazione di "crollo doloso", riportata nero su bianco dai giudici genovesi che si sono pronunciati sugli arresti degli ex numeri 2 e 3 di Autostrade, cambia e aggrava la posizione degli indagati per la tragedia del viadotto Polcevera. Secondo i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, quanto avvenuto prima del 14 agosto 2018 non può essere spiegato soltanto con un comportamento colposo, ma con una condotta consapevole da parte di chi aveva degli obblighi di manutenzione o di controllo su un ponte pieno di problemi.

Attenzione, la contestazione del reato previsto dall'articolo 434 del codice penale, "crollo di costruzioni o altri disastri dolosi", non vuole certo dire che dirigenti e tecnici di Aspi, ma anche funzionari del ministero delle Infrastrutture, abbiano agito in un certo modo – o non abbiano agito affatto – perché intenzionati a far crollare il ponte. Vuol dire però, ad esempio, che secondo l'accusa aver dichiarato il falso circa i controlli sul viadotto, oppure non aver fatto le ispezioni e gli interventi necessari, non può che aggravare la posizione di chi è indagato per un disastro verificatosi – ritiene la Procura anche per quei comportamenti omissivi.
Insomma per magistrati e militari della Guardia di Finanza i vecchi dirigenti di Autostrade erano a conoscenza che il viadotto Polcevera non stesse affatto bene. Secondo la società e gli stessi ex dirigenti non ci fu mai nessuna "avvisaglia" di una situazione tanto critica, ma solo la consapevolezza di dover fare interventi di consolidamento.
Secondo i pm le cose stavano in tutt'altro modo. Tanto che, come aveva rivelato Repubblica, nelle varie perquisizioni i finanzieri genovesi avevano trovato documenti digitali che contemplavano il "rischio crollo" fin dal 2014. Dicitura poi diventata a partire dal 2017 "perdita di stabilità". In base all'articolo 434 del codice penale per chi commette il reato di crollo doloso "la pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene". Le altre contestazioni, per 71 persone, sono omicidio colposo plurimo, disastro e attentato alla sicurezza dei trasporti.
Intanto nelle scorse ore i giudici del Riesame hanno depositato le motivazioni in base alle quali l'ex numero 3 Michele Donferri Mitelli è rimasto agli arresti domiciliari, misura invece revocata all'ex ad Giovanni Castellucci e all'altro dirigente Sergio Berti. Donferri fino al suo arresto ha lavorato per la società Polis Consulting (che svolge attività tecnico ingegneristica anche per Autostrade e Aeroporti Roma), "per di più in relazione a lavori riguardanti la rete autostradale gestita da Aspi".
Donferri ebbe poi " un ruolo principale nella illecita gestione delle problematiche delle barriere" scrivono i giudici ed "è provato che egli personalmente, con dolo di particolare intensità, promosse tutta l'articolata azione anche facendo estromettere chi sospettava potesse intraprendere scelte diverse e cercando di zittire le voci discordanti".
In più l'ex manager lavorava in nero per la società Polis e percepiva il Naspi, il sussidio erogato dall'Inps. Nelle motivazioni i giudici spiegano che era riuscito a manipolare anche i suoi nuovi colleghi che hanno anche mentito davanti agli investigatori della Guardia di Finanza, guidati dal colonnello Ivan Bixio e dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco, sostenendo che svolgesse una attività di consulenza gratuita. Per questa vicenda, Donferri, scrivono i giudici, è "fatto idoneo a integrare il reato di percezione indebita di erogazioni dello Stato".Original Article

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