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L’uomo Nero di Mr. King

Anche se molti adulti fingono di averlo dimenticato, il loro amore per la lettura è divampato nell’adolescenza o nell’infanzia grazie a libri poco rassicuranti: storie macabre, inquietanti, che giocano con il sovrannaturale, l’occultismo e la paura della morte. I ragazzini che hanno divorato le 1200 pagine di It o si sono lasciati affascinare dalle ombre di Pet Sematary sono tantissimi, più di quanti immaginiamo.

Stephen King, nel saggio Danse Macabre, indica addirittura i bambini come gli spettatori più adatti al genere horror: «Un’esposizione adeguata al fantastico e all’orrore è auspicabile o addirittura utile. Grazie a un’immaginazione sterminata, i più piccoli riescono a conviverci e per merito di un incomparabile punto di vista mettono a buon frutto le emozioni che ne derivano. Intuiscono anche molto bene la posizione che occupano nel mondo che li circonda». Vale per il cinema e anche per la letteratura.

Nessun tabù, dunque: a Natale regaliamo un brivido! Magari un classico, capace di inquietare senza troppi dettagli, perfetto nella sua asciuttezza: L’uomo vestito di nero, pubblicato dal re dell’horror a metà degli anni Novanta sul New Yorker, vincitore del World Fantasy Award e dell’O. Henry Award, incluso nella raccolta Tutto è fatidico e adesso ripubblicato da Sperling & Kupfer in una edizione speciale con le illustrazioni di Ana Juan e in appendice Il giovane signor Brown, racconto di Nathaniel Hawthorne.

Lo scrittore ottocentesco, discendente di persecutori di quaccheri e martirizzatori di streghe, tra i primi membri di una fattoria utopica e comunitaria, che lungo un fiume del Massachusetts si ispirava alle idee socialiste di Charles Fourier, è amatissimo da King che inserisce proprio questo suo racconto tra i dieci migliori della letteratura americana: un sabba infernale a cui partecipa una intera comunità puritana, uomini venerabili e donne pie, all’apparenza eccellenti cristiani, ma nel profondo devoti al maligno. Il suo Uomo vestito di nero ne restituisce l’atmosfera ma declinandola nelle paludi attorno a Castle Rock — la cittadina immaginaria de La Zona Morta, Revival e decine di altri romanzi, a sua volta omaggio a Il signore delle mosche di William Golding.

Estate del 1914. Gary, un bambino di 9 anni, si inoltra nel bosco dove le ombre si allungano sul sentiero, l’aria si fa fresca e odora di abeti, per andare a pescare al torrente. Qui incontra uno sconosciuto dal volto affilato e pallido, alto, elegantissimo, con un completo nero, le scarpe di pelle strette e lucide, gli occhi di fuoco e le dita lunghissime che terminano con artigli giallastri. Un uomo che puzza di zolfo, che fa appassire l’erba sotto i suoi piedi e dalla cui bocca escono parole terribili, che lo tormenteranno per tutta la vita.

Quel bambino, ormai anziano e prossimo alla fine, per esorcizzare la paura di incontrare di nuovo l’uomo vestito di nero inizia a scrivere un diario, mette nero su bianco i dettagli di quell’antica visione: «Non m’interessa essere creduto, ma liberarmi». Sa bene che un uomo che ha superato i novant’anni dovrebbe essersi lasciato da tempo alle spalle i fantasmi dell’infanzia eppure il volto terribile, scavato come quello di un morto di fame, il suono strozzato e furioso che gli usciva di bocca, le parole crudeli… ogni singolo dettaglio si fa sempre più nitido. Crede a ciò che ha visto e ci credono i lettori ormai liberi dal baluardo dello scetticismo.

Solo all’apparenza il racconto parla del diavolo, così come solo all’apparenza il testo di Hawthorne parla di streghe e adepti al demonio. Sotto la superficie di immagini rese con magistrale rigore — un mondo in cui il cielo non è tagliato dai cavi dell’alta tensione, non ci sono strade asfaltate e tutto ruota attorno alla drogheria e alla chiesa metodista — un bambino è costretto ad affrontare la morte prematura del fratello, punto da un’ape, il dolore dei genitori, la paura che accada di nuovo. L’incontro con l’uomo nero, antico monito a non fidarsi degli sconosciuti, è in realtà la storia di un trauma infantile, del senso di colpa del sopravvissuto, dell’impronta del male che segna l’intera esistenza e infine del valore terapeutico della scrittura.

Come sempre Stephen King, giocando con la tradizione, le trame avvincenti, la suspense e il fascino del mistero, inventa orrori che ci aiutano a fare fronte a quelli reali. Ecco allora un libro per gli adulti che vogliono precipitare lungo lo scivolo dell’infanzia e per gli amanti del genere che già riescono a sopportare il peso della fantasia. Dice il maestro del brivido che chiunque è convinto dell’esistenza di auto e banche, ma che ci vuole «un atto intellettuale raffinato e potente per credere, anche per una frazione di secondo, a Nyarlathotep, all’Abitatore degli abissi, a Colui che urla silenzioso sulla collina», creature inventate non a caso dal genio controverso di H. P. Lovecraft. Ma soprattutto un libro per chi, abituato dalla giovane età a sospendere l’incredulità, ha bisogno di trovare sotto l’albero una storia che sfidi le sue ansie segrete.

Il libro
L’uomo vestito di nero di Stephen King (Sperling&Kupfer, traduzione di Silvia Fornasiero, illustrazioni di Ana Juan, pagg. 128, euro 15,90, età: 13+)

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