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“Inchieste sui No Tav, la procura non fu imparziale”. L’accusa di un avvocato all’appello bis per gli scontri di Chiomonte

Finale movimentato per l'appello bis del maxi processo No Tav, che si è tenuto oggi al Palazzo di giustizia di Torino, per i disordini che seguirono lo sgombero del presidio della Maddalena nel 2011, che è iniziato portando alla sbarra 53 imputati – oggi scesi a 35 – per gli assalti del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Le accuse andavano da lesioni a resistenza a devastazione. Uno degli avvocati della difesa, Stefano Bertone, ha chiesto di depositare nel fascicolo alcuni atti, tra cui una lettera che l'allora procuratore generale Marcello Maddalena nel 2014 aveva inviato al pm Andrea Padalino, che faceva parte del pool di magistrati impegnati nei processi contro i No Tav, sostenendo che si trattasse della dimostrazione della tesi che per lungo tempo aveva cercato di sostenere: nei confronti dei No Tav la procura di Torino aveva usato "velocità diverse quando i militanti erano imputati e quando erano parti offese". Un attacco che è stato respinto al mittente dalla procura generale che ieri era rappresentata in persona dal procuratore generale Francesco Saluzzo, assieme a Nicoletta Quaglino e Carlo Pellicano. Saluzzo ha chiesto che venissero messe a verbale le accuse lanciate dal difensore mentre Quaglino, che aveva sostenuto l'accusa fin dal primo processo di primo grado, ha chiesto alla Corte di inviare gli atti a Milano – procura competente per le questioni legate ai magistrati torinesi – perché vengano fatte le opportune valutazioni. "Mi auguro che la procura di Milano affronti la vicenda – evidenzia Bertone – Non ho mai accusato la dottoressa Quaglino di avere commesso alcun reato, e quindi sono ben contento di affrontare una discussione su questo punto. Ma sono sopratutto contento di poter avere un soggetto terzo che verifichi le critiche, non solo mie, nei confronti della procura di Torino per come ha istruito i processi contro i No Tav". Proprio la procura di Milano nei mesi scorsi ha chiuso le indagini a carico di Padalino, accusandolo di corruzione in atti giudiziari per il modo con cui aveva trattato alcuni procedimenti penali che gli erano stati assegnati.

In realtà la corte – che ha rinviato per la sentenza al 21 gennaio – non ha ammesso il deposito della lettera di Maddalena, così come non ha accolto la richiesta di far entrare nel fascicolo un'informativa dei carabinieri dell'inchiesta Minotauro sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nei lavori per l'alta velocità e nemmeno un manuale sull'uso dei lacrimogeni che secondo le difese dimostrerebbe l'illegittimità dell'operato delle forze dell'ordine. Ma la missiva è stata comunque inserita nella memoria che l'avvocato ha depositato a difesa di due militanti alla sbarra. Si tratta di un fax in cui Marcello Maddalena chiedeva rassicurazioni a proposito di un altro processo, quello per diffamazione che vedeva come imputato l'ex senatore Stefano Esposito e come parti lese le due attiviste Nicoletta Dosio e Dana Lauriola. L'avvocato Bertone aveva più volte sottolineato in quel periodo che si stava assistendo a una "giustizia a due velocità" e aveva chiesto l'avocazione del processo, che giaceva negli armadi senza arrivare in aula. Ed è stato a quel punto che Maddalena è intervenuto intimando al sostituto procuratore di non tergiversare. "Con la presente prego di voler fornire informazioni, il più sollecite possibile, circa lo stato del procedimento e la presumibile conclusione delle indagini preliminari: conclusione che era stata più volte oralmente preannunciata però senza che alle promesse seguissero i fatti", scriveva Maddalena. Esposito alla fine uscì dal procedimento invocando l'immunità parlamentare.

Eppure proprio il nome di Padalino ricorre in un'altra vicenda legata al 2014, quando l'allora procuratore capo Armando Spataro decise di ridistribuire i compiti verso la fase finale del processo di primo grado, allontanando Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, che erano subentrati a Giuseppe Ferrando in appoggio a Nicoletta Quaglino e Manuela Pedrotta e che da quel momento avevano costituito di fatto il nucleo forte del pool delle indagini sulla Tav voluto dall'ex procuratore capo Gian Carlo Caselli. Erano state dunque Quaglino e Pedrotta a pronunciare la requisitoria e a chiedere le pene. L’iter giudiziario che ne seguì fu particolarmente lungo poiché il processo, una volta arrivato in Cassazione nel 2018, è stato rinviato alla corte d’appello per meglio affrontare una serie di questioni, in particolare l'eventuale sussistenza di una reazione ad "atti arbitrari" delle forze dell'ordine da parte dei No Tav.

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