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I narcos fanno litigare Usa e Messico: “Basta agenti americani infiltrati nel nostro Paese”

Basta con gli agenti sotto copertura, con i segugi della Dea che agiscono in piena libertà. Che indagano, interrogano, hanno i loro informatori, prendono le loro decisioni e comunicano le decisioni poco prima di agire. Il Messico si ribella al gigante americano e chiude le frontiere della collaborazione. Tutti gli agenti "stranieri" non godranno più dell'immunità, si dovranno registrare, riferire con chi parlano, quando lo incontrano e se violano una delle regole rischiano anche l'espulsione.

La nuova legge appena varata anche dalla Camera dopo il voto del Senato ridisegna quella sulla sicurezza e inasprisce le norme che disciplinano gli agenti di polizia stranieri. Dove il generico stranieri si riferisce principalmente a quelli della Dea, gli uomini e le donne in prima fila nella guerra al traffico di droga. Una decisione storica, un taglio netto a quella "sinergia" di intelligence, con scambio di dati, nomi, soffiate, incursioni partita bene e finita male. Uno scatto d'orgoglio per una sovranità violata e ferita. Ma anche un chiaro segnale di cambio di rotta con l'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Se i rapporti con The Donald erano fermi ma cordiali, con il nuovo presidente democratico il rapporto è tutto da costruire. López Obrador è stato tra gli ultimi a congratularsi con il nuovo capo dell'amministrazione Usa e nel farlo ha subito chiarito un paio di capitoli che gli stanno a cuore: il Muro e il flusso di immigrati dal Centro America. Si è augurato che Biden riveda la posizione Usa e spinga verso "atteggiamenti" che "favoriscano lo sviluppo dei paesi della regione dando la possibilità ai suoi abitanti di poter vivere nei loro paesi".

Ma Obrador è voluto andare oltre. Non ha digerito l'arresto improvviso, e segreto, del potente generale Salvador Cienfuegos, dal 2012 al 2018 ministro della Difesa con Calderon e poi con Nieto. L'alto ufficiale era stato ammanettato come un ladro in fuga nell'ottobre scorso appena sbarcato dall'aereo che lo portava in vacanza con la famiglia a Los Angeles. La Procura generale Usa lo intercettava e seguiva da un paio di anni e sul suo conto aveva raccolto prove robuste che lo indicavano come referente dell'H-2, un Cartello "estremamente violento" nato da una costola del Cartello di Sinaloa, dissolto in mille rivoli dopo la cattura, l'estradizione e la condanna del Chapo Guzmán. Era accusato di aver favorito l'ingresso di montagne di cocaina e eroina negli Usa.

Il governo messicano non ne sapeva nulla e l'immagine del generale in manette scortato dagli agenti Dea all'aeroporto di Los Angeles bruciava come un ceffone. Il ministro degli Esteri Marcelo Ebrard era stato avvertito solo all'ultimo dall'ambasciatore americano e di fronte alla sfuriata di Obrador, chiamato in fretta e furia, si era subito attivato protestando ufficialmente con Washington. Cienfuegos è rimasto in cella per un mese, ha presenziato a due udienze nello stesso Tribunale che aveva giudicato e condannato il Chapo ma è rimasto in silenzio dichiarandosi innocente alla prima e unica domanda di rito.

Il Messico ha sferrato un'offensiva senza precedenti, arrivando a minacciare la rottura delle relazioni diplomatiche. Poi, improvvisamente, è accaduto qualcosa di impensabile: la procura generale Usa si è dichiarata incompetente, ha rilasciato il generale, gli ha consentito di rientrare a casa e ha archiviato l'inchiesta. Nella motivazione, il giudice ha scritto che "mantenere la cooperazione tra le autorità preposte all'applicazione delle leggi messicane e statunitensi era più importante che perseguire l'imputato". Vedetevela voi, hanno detto a Los Pinos. L'ex ministro della Difesa è tornato come un eroe ed è uscito di scena. Ha incassato il prezzo del suo silenzio. Da un anno giacciono in carcere il predecessore e il vice, anche loro accusati di narcotraffico. Stanno trattando una collaborazione in cambio dell'ingresso nel programma di protezione. Ma senza il fondamentale contributo del generale Cienfuegos, le autorità americane hanno poche carte in mano.

L'alto ufficiale avrebbe potuto svelare segreti inconfessabili, compresi gli intrecci e le connessioni tra potere politico e Cartelli. Gli stessi che hanno fatto spesso fallire le indagini della Dea in Messico, con gli agenti frustrati per le soffiate prima dei blitz, la diffusa corruzione negli apparati della polizia, i doppi e tripli giochi nella guerra alla droga. La ferita non si è rimarginata. Il Messico ha chiesto nuove misure e ha spinto i suoi in Parlamento a presentare un disegno di legge di riforma sulla sicurezza. L'ex procuratore generale Usa, William Barr, appena dimesso, è stato tagliente: "E' un regalo ai Cartelli". Gli ha replicato il ministro Ebrard: "Non chiediamo nulla che non ci si aspetti da un agente diplomatico all'estero". L'ambasciatrice messicana negli Usa ha improvvisamente rassegnato le dimissioni.

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