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Calcio, i regni d’Europa fra rivoluzionari e antichi tiranni

Sabato pomeriggio a Leverkusen e domenica sera a Lille le capoliste di Bundesliga e Ligue 1, il Bayer e appunto il Lille, riceveranno la visita dei moloch che da tempo dominano quei campionati, il Bayern e il Paris St.Germain. Sono le finaliste della Champions di agosto, e dunque le squadre che hanno staccato più tardi, il che spiega come mai non abbiano ancora sedotto i rispettivi campionati. Il margine delle fuggitive, un punto appena, non vale alcuna sicurezza: se dovessero perdere verrebbero scavalcate, lanciando le solite note verso un Natale al comando. In Inghilterra il sorpasso è già avvenuto: mercoledì sera il Liverpool, superando il Tottenham nel finale, l'ha staccato di tre punti. Poche ore prima, al Camp Nou, la Real Sociedad, dopo alcune settimane di marcia sempre più affannosa, era caduta davanti al Barcellona: i baschi di San Sebastian sono ancora primi, ma assieme all'intera Madrid, e hanno giocato più partite sia rispetto all'Atletico (tre) che al Real (una). Dei cinque campionati principali resta la Serie A, alla cui cima il Milan è rimasto aggrappato con le unghie. Domenica però rischia in casa del Sassuolo, mentre l'Inter, giunta a un punto, se la vedrà a San Siro con lo Spezia e la stessa Juve, in viaggio a Parma, ne distingue la targa senza problemi. Su tutta Europa soffia potente il vento della restaurazione, con le corazzate della Champions pronte a riprendersi ciò che era loro a scapito degli agili vascelli dell'Europa League, bravi a guadagnarsi la scena nel languido autunno delle grandi. Ma siccome non c'è una storia uguale all'altra, in questa long season che abbraccia due campionati, andiamo a nuotare sotto alla superficie dei quattro tornei più importanti (col nostro).

Inghilterra

Sotto stress per la sconfitta in extremis, a fine gara Mourinho ha ringhiato in faccia a Klopp il suo punto di vista: "Ha perso la squadra migliore". Un'affermazione perfetta per riaprire la vexata quaestio sulla filosofia etica del gioco, ovvero se il calcio offensivo del Liverpool sia più nobile di quello difensivo del Tottenham, come all'epoca il tiqui-taca catalano di Guardiola era meglio considerato rispetto alla reattività del Real di Mou. Ad Anfield il portoghese non ha parcheggiato l'autobus davanti alla porta: ha atteso ben coperto che il Liverpool sfogasse la sua adrenalina, ha pareggiato con un bel contropiede di Son (giocatore super) il fortunoso vantaggio di Salah, e nel lungo periodo in cui la gara era indecisa sulla direzione da prendere ha avuto le occasioni migliori per portarla dalla sua parte. Resta in corsa per il titolo, dove Klopp è l'ovvio favorito anche se rispetto all'anno scorso ha 9 punti in meno: al di là delle schermaglie dialettiche di Mourinho, le assenze non spiegano tutto ma qualcosa sì, perché Van Dijk vale più di mezza difesa e Thiago era stato preso per consentire variazioni di ritmo, e non dover correre sempre a mille all'ora. Dietro le prime due è ormai definitivamente ripartito l'Everton, che dopo il grande incipit s'era avvitato fino a far temere per la posizione di Ancelotti. Colpiscono due numeri, infine: la profonda crisi dell'Arsenal di Arteta, 15°, e il fatto che l'attacco del City sia il 10° del torneo. Per una squadra di Guardiola non è normale.

Spagna

La Liga è il torneo che meglio ha assecondato le sue regine, le squadre impegnate ad agosto nelle coppe, regalando loro due settimane (al Real una, ma s'era fermato prima): è ripresa il 12 settembre come in Inghilterra, ma il Siviglia vincitore dell'Europa League e il tandem Atletico-Barça, usciti ai quarti in Champions, sono partite il 27. Ne consegue che la classifica sia un caos, troppo diversi i numeri di gare disputate. L'Atletico è la capolista unica in pectore visto che i suoi 26 punti consistono di 11 match (otto vittorie e una sconfitta, nel derby), mentre quelli del Real sono stati ottenuti in 13 partite e la Real Sociedad – sorpresa dell'anno anche grazie all'ingaggio di David Silva – li ha presi in 14 gare. Barcellona e Siviglia stanno tornando dal molto lontano nel quale erano precipitate. Il 24 gennaio i catalani eleggeranno il nuovo presidente, e la scelta avrà ripercussioni sul futuro di Messi, fin qui nella versione più pallida che si ricordi. Difficile che il tutto avvenga in tempo per riagganciare il campionato, meno complesso che un rilancio tecnico-politico possa preludere a una buona primavera di Champions. Per la Liga, colchoneros in prima fila: il nuovo meccanismo di Simeone continua a prendere pochi gol (4, record dei cinque campionati) ma gioca assai di più in attacco, dove João Félix è incisivo almeno come Suarez e Ferreira-Carrasco pare deciso a riprendere per i capelli una carriera fin qui gettata (era finito in Cina!).

Germania

Il Bayer Leverkusen non ha mai vinto la Bundesliga, e da quando nel 2002 perse nel giro di pochi giorni il campionato, la coppa di Germania e soprattutto la finale di Champions dal Real (lo stratosferico gol al volo di Zidane), il suo malinconico soprannome è Neverkusen. Peter Bosz, il bravo tecnico olandese che ha riavviato il ciclo moderno dell'Ajax ma in seguito ha fallito al Borussia Dortmund, lo sta guidando verso un sogno forse esagerato e di certo inatteso, visto che in estate la squadra della casa farmaceutica Bayer aveva venduto al Chelsea il gioiello Havertz. Sulla sua fuga si stagliano due ombre: quella enorme del Bayern e quella più sinuosa del Lipsia, che ha annunciato ieri l'aggiunta del talento Szoboszlai dalla succursale Red Bull di Salisburgo. Un inchino alla Bundesliga: è il torneo meglio dimensionato – 18 squadre – , quello che riprese per primo dopo il lockdown e di conseguenza per primo si concluse (27 giugno), consentendo alle sue componenti un riposo vero tra le due stagioni.

Francia

Il Psg ha già perso 4 partite (su 15), una follia se si calcola che nelle ultime otto stagioni per cinque volte si era fermata a tre o meno (su 38). Nella prima fase a approfittarne è stato il Rennes, poi riassorbito dal gruppo, nella seconda sta correndo il Lille, un piccolo miracolo gestionale se è vero che negli ultimi anni ha incassato tanto per Pepe, Leao e Osimhen senza perdere il suo status. Sullo sfondo c'è pure il Marsiglia, preso a schiaffoni in Champions ma competitivo in Ligue 1 come non gli succedeva dai tempi di Bielsa. Ha cinque punti di distacco, ma anche due gare in meno. Non vince dal 2010, chissà che la penitenza non sia finita.

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