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Boom di cambi del codice Ateco: così le imprese hanno provato a sopravvivere al primo lockdown

MILANO – In tempi di crisi si bada all'essenziale. Durante il lockdown, il motto si è trasformato da un richiamo alla morigeratezza a una azione di sopravvivenza delle imprese. In uno studio pubblicato dalla Banca d'Italia a firma di Alessandro Mistretta si mette in evidenza come, in parallelo con i decreti che nello scorso marzo imposero il primo lockdown con una stretta crescente sulle attività produttive, ci sia stata una corsa a cambiare i codici Ateco delle imprese: quella sequenza di lettere e numeri che definisce che tipo di attività viene svolta.

Una 'targa' che viene attribuita quando parte l'attività o si apre la partita Iva: l'Istat, nell'aggiornamento che scatterà dal 1° gennaio, impiega 25 pagine per metterle tutte in fila. Riposto magari in un cassetto e lì dimenticato, il codice è importante, oltre ai fini statistici, anche per alcuni parametri fiscali e contributivi. Ma negli ultimi mesi è diventato qualcosa di più: un lasciapassare per tenere le saracinesche aperte. Il pettine che ha separato, ad esempio, la Fabbricazione di nastri, etichette, ecc. (Ateco 13.96.20, non essenziale e quindi sospesa) dalla Fabbricazione di altri articoli tessili tecnici ed industriali (Ateco 13.96.10, essenziale e quindi aperta).

Tra l'11 marzo e il 17 maggio è accaduto un fenomeno particolare: se da una parte sono comprensibilmente crollate le iscrizioni al Registro delle imprese, e anche il numero delle cessazioni "si è bruscamente contratto" (Bankitalia suppone che le limitazioni alla mobilità e l'attesa del sostegno pubblico abbiano fatto limitare le pratiche allo stretto necessario), le domande per cambiare codice Ateco hanno registrato un inedito aumento "soprattutto nel settore manifatturiero e nelle regioni del Nord". In particolare è esploso il numero di passaggi dai codici delle attività classificate come 'non essenziali' ai codici riferibili alle attività 'essenziali'. Si è passati dal 3,4 per cento della media degli ultimi cinque anni al 10,2 per cento.

Bankitalia non corre a conclusioni: le imprese potrebbero essersi lanciate in produzioni nuove visto il cambiamento dello scenario di mercato; oppure possono avere corretto la loro 'targa' avendo acquisito d'un tratto la consapevolezza della sua importanza. "Infine – suggerisce la ricerca – i cambi di Ateco potrebbero essere stati effettuati per evitare la sospensione della propria attività, portando a una riclassificazione come attività 'essenziale'".

Alcune considerazioni lasciano pensare che sia stato quest'ultimo un fattore determinante: la transizione verso categorie contigue è stata più alta nelle divisioni di attività maggiormente interessate dalle sospensioni, il che rivela che il lockdown è un fattore determinante. La migrazione, poi, è stata accentuata verso settori dei servizi quali la consulenza aziendale, il commercio elettronico e i servizi alle imprese. "Se da un lato è verosimile che numerose imprese commerciali possano essersi riconvertite all'attività di vendita online – dice lo studio – dall'altro è poco probabile che la stessa riconversione sia stata possibile in tempi rapidi per imprese manifatturiere. Inoltre, il fatto che tra i codici di attività più richiesti vi siano attività essenziali 'omnibus', la cui descrizione è molto generica, è meno compatibile con un processo di riallocazione produttiva".

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