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Oropa, il santuario che resiste: “Vicini ai fedeli anche via social”

BIELLA – C’è un prete, dritto dietro l’altare. Non si sente bene cosa dice, poi si capisce che sta dicendo il rosario. Il prete prega davanti a nessuno, la chiesa è vuota, non ci sono fedeli. Ma ci sono. Davanti a un computer, seguono funzioni che volano online su Facebook e YouTube, e arrivano a casa in diretta. Il santuario della Madonna nera di Oropa è lontano, alto sopra la città di Biella. Non è mai stato così vicino, nonostante i 1200 metri è il luogo di culto mariano più importante delle Alpi. È la fede che resiste, la pandemia ha limitato gli accessi alle chiese, cancellato il flusso dei pellegrini, a Oropa, a San Giovanni Rotondo, alla basilica di sant’Antonio di Padova. Eppure, resiste.

E salendo lungo i tornanti, su verso la conca del Mucrone, si intravvede uno a spasso con il cane, e una coppia con aria svagata. Escursionisti devoti, capaci di aggirare zone rosse e arancioni. Nessuno fermerà chi arriva al complesso imponente di pietra grigia voluto dal popolo, dai grandi industriali della lana e dai Savoia, che qui conservano un appartamento reale con baldacchini e ritratti dei re. Neanche freddo e nebbia, il metro di neve di settimana scorsa. Le amiche Elena e Stefania, davanti al portone della Basilica antica: «Per noi è importante essere qua. Poi, sta arrivando il Natale». L’infermiera Elena ha visto morti e sofferenza, «venire qui mi aiuta». Da Biella ci sono 2 ore e mezza a piedi, o 20 minuti in auto, e quando sta per venire buio e si entra per la messa, dentro ci sono una dozzina di persone. La telecamera inquadra la madonna nera dal viso enigmatico, intagliato in durissimo legno di cirmolo. È una statua gotica, regge sul fianco un bambino nero, un pomo d’oro scintillante nella mano destra.

Questa figura ha una corona semplice, bisogna vederla quando indossa le altre, a formare una tiara quasi papale, più corone sovrapposte, una ogni cento anni. L’ultima era prevista al 30 agosto, la cerimonia è slittata al 2021, e così la processione che si tiene da 400 anni dalla valle di Gressoney, e questo era l’anno. La mattina i circa 3mila che attraversano la montagna arrivano sul piazzale, la pandemia ha cancellato anche questi devoti che partono di notte con le fiaccole.

La mattina alle 8 non c’è nessuno. Don Michele Berchi è il rettore del santuario, 56 anni, ha mantenuto le 7 funzioni quotidiane, ammette che «non è facile, celebrare così. Con la mascherina, non capisci mai se sono colpiti da quello che dici, o annoiati». Nell’estate c’è stato il boom, «le domeniche erano come il 15 di agosto di una volta. Ho pensato: sarà il bisogno di stare all’aperto, in fondo abbiamo una tradizione di accoglienza, è la fede popolare che abbraccia l’umano». Si andava in gita, pranzando al sacco o nei ristoranti sotto i portici, ma dopo sempre a visitare la madonna nera dal volto impassibile. Poi, il caffè. Al Caffè Deiro il barista Simone viaggia sui quattro espressi al giorno, «tengo aperto lo stesso, è un segnale di vita, un servizio. Aspetto che tornino i vecchi tempi».

L’anno scorso Oropa aveva 400-500mila visitatori l’anno. Don Berchi fa il conto delle candeline: «120mila l’anno, ma non tutti l’accendono». Moltiplicato per tre-quattro, il classico gruppo famigliare, e si arriva alla cifra. Ora, stupisce il vuoto, sbarrati i 12 ristoranti, i 7 negozi di souvenir, l’erboristeria, il negozio di vestiti. Aperta la panetteria, dove Maria Elena Rabbione vende tome e farina da polenta, «solo per vocazione, non ho mai chiuso a parte il lockdown. Magari arriva uno che vuole un panino», a conferma di cosa è questo posto: una tappa da pellegrini di montagna, essenziali come è la polenta.

Nello studio con i pavimenti di legno, il rettore spiega che la pandemia ha risvegliato la fede di molti, persino la Cei gli dà ragione. I vescovi hanno riscontrato un nuovo bisogno, il rettore racconta di mail ricevute «non da atei, ma da gente che aveva ormai archiviato la pratica. Il Covid ha rovesciato le cose, chi aveva fede è stato messo alla prova. Chi non l’aveva, chiuso in casa, si è fatto molte domande. Tipo: “Non posso più fare le cose di sempre, non posso fare niente, allora non valgo niente”. La domanda è: c’è un perché?».

In quel perché ci sono la paura, il dolore della malattia, il lutto. Nuovi ex voto finiranno nella galleria dove è appeso il ricordo di sofferenze antiche, i quadretti in oro e argento e quelli poveri, una macchina a ruote all’aria dipinta da una mano ingenua, un trattore che precipita, un chirurgo che opera, e salendo indietro nel tempo, i briganti che assaltano una casa, ma ci si è salvati per grazia ricevuta, devoti e scettici. Perciò non ci si stupisce se la pagina delle funzioni ha avuto 200mila visualizzazioni da febbraio a oggi, un più 2mila per cento, nel 2019 erano 9mila. Alle 17,30 fa buio, di colpo. Si accende la cupola della Basilica nuova, «me l’hanno chiesto tanti. Così, per capire che non si è soli. È un messaggio di luce», dice il rettore, e si vede anche da Santhià, e più in là, Torino.

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