Non solo l’ultimo verdetto in Corte di Cassazione, il prossimo 21 gennaio. Quando i giudici romani diranno se Martina Rossi cadde da una finestra perché stava fuggendo da uno stupro, come sono sempre stati convinti i suoi genitori, oppure si lanciò dal sesto piano per sua volontà. C’è un altro processo, a Genova, su quanto accadde dopo la tragedia del 3 agosto 2011 all’hotel Santa Ana, a Palma di Maiorca. Al centro non i due imputati nel procedimento principale, condannati in primo grado ad Arezzo per la tentata violenza e assolti in Corte d’Appello a Firenze, Ma gli altri due amici, sempre di Castiglion Fibocchi, che in quelle ore drammatiche stavano passando la notte con le due amiche genovesi di Martina nella vacanza diventata incubo. L’accusa, per Federico Basetti ed Enrico D’Antonio, è di falsa testimonianza: secondo l’accusa davanti agli inquirenti che indagavano su quanto successo a Martina sono stati reticenti. O, ancor peggio, avrebbero concordato una versione di comodo per “coprire” Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi accusati del tanto stupro.
La scaletta delle prossime udienze decisa ieri dal giudice Paolo Lepri in qualche modo riflette le tempistiche del filone principale: a Genova si comincerà a fare sul serio il 15 marzo, quando a meno di colpi di scena sarà stata già messa la parola fine nel processo principale. Se l’avvocato che assiste Bruno Rossi e Franca Murialdo, Stefano Savi, dice che «si tratta di un procedimento del tutto a se stante rispetto al filone principale», è ovvio che quanto succederà a gennaio a Roma avrà ripercussioni su quanto avverrà a marzo a Genova.
Fra i testi chiamati in aula dai due imputati ci saranno proprio le due ragazze che partirono dalla Liguria con Martina alla volta della Spagna. Entrambe quella notte si erano appartate con Basetti e D’Antonio, lasciando Martina insieme ad Albertoni e Vanneschi. Entrambe nel processo di Arezzo avevano reso dichiarazioni drammatiche, e avevano finito le loro deposizioni in lacrime. Particolarmente dura era stata la giudice Angela Avila, quando aveva detto a una delle due: «Non capisco perchè non vi siate precipitate fuori, dove lei agonizzava. Io avrei fatto così».
La risposta fu che «ho avuto un black-out al cervello, non ero più in me, mi muovevo come un automa. Non ho mai avuto una paura così. Ero paralizzata»,
Sia i rapporti fra le due ragazze, sia quelli con i genitori di Martina, sono di fatto interrotti dai giorni successivi alla morte della studentessa, da quasi dieci anni.
Non è mai venuta meno invece ai genitori la vicinanza del comitato Vogliamo Verità e Giustizia per Martina Rossi, ieri in presidio insieme ai portuali del Calp da sempre accanto all’ex camallo Bruno Rossi,
Il quale davanti alle aule di giustizia impovvisate “no Covid” di via del Seminario ha ricordato come «tutte le bugie raccontate sul conto di Martina nel corso di quasi dieci anni hanno portato al ribaltamento in Corte di Appello di quanto avevano stabilito tre magistrati. I pubblici ministeri Mazzeo a Genova e Rossi ad Arezzo, oltre al giudice che li aveva condannati in primo grado».Original Article
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